mercoledì 31 dicembre 2008

Mare all'asciutto

Acque dolci. Ci passa qualcuno di tanto in tanto. Un uomo in biciletta porta le buste della spesa, parla al cellulare, guarda verso di me che sto affacciata alla finestra. Una donna sola anche lei ha il passo lento e lo sguardo lungo. Non mi piace avere pensieri da fine dell'anno. Né da inizio. Perché poi annegano dentro una bottiglia di vino qualunque e se esageri s'ingolfano dentro un malditesta. Mi piace però che il mare si sia fermato anche lui davanti alla finestra. Almeno oggi non fa storie, non parla, non ha nulla da dire. Sembra un anticipo delle secche di gennaio, che ci sono, le ho viste mille volte. C'è un nome preciso per questo stato delle cose, sopratutto parlo dello stato del mare. Io lo so, ma per ora non lo dico, perché è un nome del dialetto dei pescatori di una certa età e prima voglio parlare con uno di loro per sapere esattamente cosa intende quando usa quell'espressione. Un giovane è appena riemerso sulla strada. Ha la muta e un fucile. Ha il cofano dell'auto sollevato e guarda anche lui verso la finestra dentro la sua livrea di muzzaro umano e con lo sguardo di un pesce qualunque. Dovevo pensare qualcosa di nuovo ma non mi viene nulla. E non penso nemmeno a qualcosa di vecchio. Ogni volta che il mare è così fermo non mi viene proprio niente in testa. Mi sembra solo che sarebbe carino fermare il resto e tenerlo così, sospeso di niente, asciutta anche l'acqua.

domenica 28 dicembre 2008

Se il mondo resta solo (sta bene)


Se la mia città spifferava di vento a 40 nodi e il mare superava gli scogli inventati da un ex sindaco, 40 chilometri più in là Alghero era ferma e argentata. Due giorni fa gli alberi erano tutti addobbati di regali e luci nelle case degli altri. Mamma e io ce ne andavamo a fotografare fichi d'india già vestiti a festa da sé. E poi c'erano gatti natali e mare e nessun altro.
Il 24 sera la città era vuota, o si riempiva solo nelle sale dei cenoni fatti di noci, pandori e parenti. E io camminavo sul lungomare e stavo dentro un ritaglio inanimato di spiaggia, e non c'era altro a parte i miei cani che cagavano e me che raccoglievo con paletta.
A starci dentro, le cose che sembrano vuote perché il mondo è impegnato altrove mi ricordano sempre una puntata di Ai confini della realtà, quando l'uomo che amava i libri sopra ogni cosa ma non aveva né tempo né spazio per leggerli rimase d'improvviso l'unico abitante del mondo. Si ritrovò in una piazza in cui c'erano libri ovunque, e ovunque, e ovunque. E lui avrebbe potuto passare tutto il resto della sua vita a leggere, ma inciampò e perse gli occhiali che si ruppero. Così capì che avrebbe passato il resto di quella sua vita circondato da libri, ma condannato a non poterne leggere nemmeno uno.
Mano male che c'è ancora modo di incontrare qualcuno perché altrimenti a chi avrei potuto comunicare la bellezza di passeggiare in un mondo che ogni tanto ha il buongusto di restare da solo?

mercoledì 24 dicembre 2008

Il cerchio dell'Onitron e suoi paradossi


A Natale c'è chi corre a fare gli ultimi (o gli unici) due o tre regalini e c'è chi se ne sta chiuso a bordo, dentro la piccola dinette con la prua che avanza lenta verso l'occhio del ciclone, sopra la testa il Madagascar e davanti agli occhi l'oceano Indiano.
A Natale c'è chi si ritrova sul muretto di casa una bolletta della luce da pagare entro due giorni e c'è chi da due giorni non vede altro che foschia e anche se accende una lampadina non cambia nulla, quindi tanto vale lasciare tutto così com'è e l'Enel lasciarla a quel paese.
A Natale ci sono quelli che sperano di vedere sbarcare sul balcone di casa un paio di renne con santaclaus che porta i doni anche se non te li meriti, ma ci sono anche quelli che sperano tanto nella discrezione delle balene, le quali passando in branco sotto lo scafo della tua bagnarola sarebbe meglio non si concedessero in alcuna piroetta natalizia con colpo di coda finale.
In pratica c'è chi festeggia Natale e chi sta facendo sostanzialemente altro. Per esempio Piero e Vittorio Fresi a bordo del loro 10 metri, in navigazione da 109 giorni, sono entrati nell'oceano Indiano e attendono il vento. Collegati col satellitare sabato scorso babbo e figlio hanno fatto gli auguri al centinaio di amici riuniti per l'occasione al Cormorano di Porto Torres. Hanno, per adesso due ore di fuso in avanti, ma corrono verso l'Australia e aggiungono miglia di distanza fra il nostro Natale e il loro tempo.
Da oltre tre mesi non vedono terra, la loro casa è su una zolla iodata di sale e di acqua. Anche se si dice in culo alla balena penso che quando il branco di mammiferi gli è passato sotto la barca il culo l'hanno stretto loro.
Comunque mi sono informata dopo aver visto una foto in cui Piero s'ingozza con una forchettata di spaghetti grande quanto tutto Cape Town. Antonio l'altro figlio che li segue da terra assicura che la cambusa gioisce di pastasciutta. Qualche superalcolico lo hanno portato per combattere il freddo, qualche spumantino per brindare ai passaggi di capo e alla soluzione di situazioni complicate.
Due caratteri forti dice Antonio. A terra si scornano a volte sulle piccole cose. In barca ci penserà il mare a scornarli entrambi mettendoli in riga rispetto alla rotta, altrimenti detta vita.
Mi piace l'idea di pensare a qualcuno in mezzo agli oceani. è come avere il dono dell'ubiquità. In estate i Fresi li ritroveremo al pontile del Cormorano dopo un cerchio disegnato sull'acqua intorno al mondo. Se come diceva Aristotele accettiamo che il tempo sia diviso in istanti constateremo il paradosso che l'Onitron Autoprestige sia sempre stata ferma e contemporaneamente in ogni luogo di questo largo cerchio.
Buonvento!

martedì 16 dicembre 2008

Tautologie utili


Appena entrata in commissione urbanistica del comune di Sassari, Luca, un collega che non vedevo da svariati mesi, ha sgranato gli occhi e mi ha detto: "non mi pare si parli di petrolchimica qui.."

Fratello, le petroliere e i loro derivati sono sempre intorno a noi. Anche questo arcobaleno sa che è così. Anche la lacca sui capelli del consigliere Desole lo sa (consigliere, se mai dovesse leggere questo post, la prego non si arrabbi, sono rimasta affascinata dalla sua acconciatura da quando la incontrai senza conoscerla e senza che lei mi notasse, in piazza Università). Lo sa anche il cellulare che il vicesindaco Meloni ha lanciato improvvisamente sul pavimento perchè squillava troppo. Lo sa la tua penna, lo sanno le lunghe ciglia della ragazzina che si strusciava sulla colonna del governo provvisorio, lo sa lo spazzolone dei nostri cessi, e pure le pastiglie che si prendono quando si tappano i gangli intestinali. I miei gangli stanno bene grazie, ma ieri volevo fare una porta giapponese con fogli di plastica e il mattonellaio di fiducia mi ha detto che quel materiale si chiama politene. Il che mi ha ricordato altre vicende.
E poi sono io la tautologica.

domenica 14 dicembre 2008

Usini in barca



Stamattina la sveglia è stata quella di un bonorvese che chiamava per sapere che tempo c'era a Porto Torres. Io non potevo saperlo perchè dalle tapparelle abbassate della mia stanza anche il più ganzo dei lupi di mare non avrebbe potuto saperlo. Ma siccome mi avevano detto che oggi avrebbe soffiato un vento a 35 nodi, dal mio cuscino ero pronta a rispondere che il tempo era brutto e che quindi non potevamo fare la lezione in barca. Per scrupolo però mi sono allungata in ciabatte fino al salone e porca miseria c'era pure il sole. Quindi ho ribattuto il bollettino meteo al bonorvese e ci siamo dati appuntamento al pontile per l'ora dopo. Intanto c'avevo il raggiro di intestini del vino di Ajò a Ippuntare che pure ne ho bevuto pochissimo, ma si vede che non ci sono più abituata.
Al bar Sardegna di Usini, questo paesino di vigneti e cantine generosi, ci sono finita due volte in una sera, per caso e perchè la cantina numero sedici alle undici di notte non ci poteva più far entrare. Un giovinazzo con la chitarra a tracolla e gli occhi fulminati di vino e premura, sull'uscio non si dava pace per noi e si scusava senza sosta: "ma cazzo babbo non vuole... non fa, non fa davvero, ma perchè non siete venuti prima? cazzo adesso non posso proprio farvi entrare, magari fatevi un giro, qualche altra cantina la trovate, perchè io non posso..". Ci stava tanto commuovendo che per gentilezza siamo rimasti ad ascoltarlo per circa un quarto d'ora. La prima tappa per scaldare gli aliti già l'avevamo fatta al bar Sardegna, anche se il barista non era tanto convinto di versare del vino a me che sarei pure una ragazza.
Comunque, ancora prima di trovare il giovane simpatico e scioccato della sedici, stavamo cercando la cantina tredici, chè c'erano Daniela e gli altri già da qualche ora, ma non avevamo una cartina del paese e andavamo a zonzo, di portone in portone a cercarli. Due ragazze scendevano verso le macchine: "scusate avete una cartina?" nel senso della mappa, e una delle due non meno premurosa del giovinazzo: "mi dispiace davvero, non ce l'ho". " E sai dov'è la cantina tredici?" e quella "no, ma so dove sono la 5, la 8, la 11, la 2 e la 16". Le aveva fatte tutte, ma senza che nulla si fosse ingarbugliato del sorriso. Tiriamo dritti. Lungo il marciapiede l'eco di un coro spuntava da una finestrella ad altezza di scarpa. E nel coro emergeva un tenore noto. Era Claudione. Quindi forse avevamo trovato la cantina 13. Ecco che ci offrono ospitalità. Claudione però era troppo intento a cantare e non ci ha cagato e poi quella non era la cantina 13. Usciamo convinti che, in fondo, al bar Sardegna non si stava male. Il barista non faceva più discriminazioni. Daniela e gli altri erano già lì. Un flicorno suonava auguri di compleanno, una tuba ammaccata lo seguiva. Un petardo è scoppiato sotto un tavolino. Qualcuno ha attaccato un cazziatone a chi l'aveva fatto scoppiare. Più avanti il ragazzo scioccato della sedici si stava esibendo con Rino Gaetano alla chitarra davanti alla vetrina di un altro bar. Io pensavo di non avere problemi per l'indomani con la previsione dei 35 nodi di vento. Poi il vento non è arrivato e io ho portato un pò di Usini in barca. Il mare è rimasto piatto e se avessi avuto i pattini sarei andata a schettinare. Il bonorvese ha fatto bene gli ormeggi. Abbiamo evitato di salire sopra il molo con tutto lo scafo. Domani è lunedì ma questa domenica è frivola e inconsistente. Chissà se il sorriso della ragazza delle cantine è rimasto li. Chissà se Claudione sta ancora cantando sotto il marciapiede. Oggi a parte la barca non s'è mosso nulla.

giovedì 11 dicembre 2008

Il saluto del tornello

Non scrivevo più in questi giorni perchè ci sono fatiche di altri generi che possono arrivare a mettere il silenziatore su ogni tipo di composizione. E un pò anche perchè cercavo un riscontro e dei commenti alle storie lanciate dentro questo slideshow qui sotto, che m'ha consumato una domenica. Ci saranno tempi migliori per tutti. Anche se non so bene come. Oggi ridevo con l'amico che ha fra le mani una lettera di cassa integrazione e per Natale sta a posto. Ridevo con lui non per cinismo, ma perchè a volte quando niente ce lo richiede è più facile offrire al lato triste delle cose una sfaccettatura grottesca, scovarvi un destino burlone. Situazione grottodrastica proponevo io prima di accorgerci che c'è già una parola che va benissimo ed è tragicomica. E ridevamo mentre mi raccontava che la sua ultima notte in stabilimento non è in realtà mai finita. Pare infatti che il mio amico sia ancora là dentro. Alle sei del mattino, terminato il turno, aveva già raccolto tutte le sue cose e stava passando fra i tornelli per tornarsene a casa, e mentre infilava il cartellino dentro la macchinetta come ha fatto per anni, un suono drastico e inconfondibile per quanto mai sentito prima di allora, stava ribadendo un concetto che però, li per li, poteva pure essere evitato, tanto era pleonastico. Il rumore aspro, non quello tondo, regolare del "lei ha terminato anche per oggi le sue otto ore di fenolo, può andare", gli stava risputando indietro il bel tesserino con acidità e la scritta "disabilitato". O forse scaduto, o forse inutile, consumato, esaurito, finito, caput. Alle sei del mattino era infatti già l'alba del primo giorno di cassa integrazione. Le lettere non hanno fatto in tempo ad arrivare a tutti i 350 dipendenti, tanto che qualcuno quel giorno s'era presentato pure con la speranza che forse di lui s'erano dimenticati, che l'avessero per errore saltato dalla conta, salvo poi essere rispedito indietro dopo pochi minuti. Ma il tornello del mio amico, puntuale, alle sei del mattino, non aveva avuto dubbi sull'inservibilità di quell'operaio, la cui operosità è targhetta alquanto obsoleta oramai. Nemmeno il suono dell'"arrivederci, lei ha fatto un buon mestiere per noi", nemmeno il suono della confidenza, di anni di impiego e timbrature. Come se, appunto, quelle ultime otto ore non fossero mai state portate a termine, il segnale sonoro stava solo maleducatamente a suggerire il gong per un nuovo incontro, non la fine di un giorno di lavoro, non l'incontro col letto di casa finalmente dopo ore di turno, non l'ingresso nella civiltà fuori dall'impianto. Ma l'incontro con un nuovo avversario che non sai mai quant'è più scaltro di te e che si chiama "niente lavoro per voi".
Esci e non c'è una società che ti cullerà la fuori, nè avrà tempo per consolarti. Se c'è una società migliore che ti aspetta è quella nata indipendentemente da tanta politica e da tanta economia. S'è fatta bella da sola. Ed è il motivo per cui l'amico ed io ridiamo e lo facciamo spesso e lo facciamo con altri. La nostra società interiore, quella di cui parlava Seneca, ce l'abbiamo, proviamo a coltivarla, ne abbiamo un'idea e proviamo a realizzarla. Ma che sia una società diffusa, istituzionale, collettiva per davvero, questo sembra ormai troppo sperarlo.

domenica 7 dicembre 2008

4 dicembre 2008, Eni chiude il petrolchimico, Porto Torres manifesta



Sei minuti per un ricordo che credo da queste parti manterremo a lungo.
Collegate le casse audio al pc, cliccate sulla foto e buonavisione.
Su portotorres.net altre interessanti immagini della manifestazione di giovedì scattate da Bainzu.

mercoledì 3 dicembre 2008

Di Emilio, Feisbuc, Proteste e altre questioni

Da una settimana penso che devo segnarmi su un foglietto quello che succede domani 4 dicembre perchè sono tante cose e tutte diverse. Adesso ho già la certezza di averne dimenticata qualcuna, ma provo a fare un elenco di quel che resta nella ram del cervello.
Innanzitutto domani è il compleanno di babbo che ha messo piede su questa terra in questa data nell'anno 1946. Siccome di recente ho fatto delle ricerche e ho scoperto che avevo un bisnonno di nome Emilio nato a Lucca nel 1874 e morto lo stesso anno in cui è nato babbo, domani ricorderò anche uno sconosciutissimo e pure parentissimo Emilio.
Visto che siamo nell'ordine dei compleanni sappiate che domani è anche il compleanno del piccolo Matteo, un bimbetto simpatico che viveva dalle mie parti e che ora ha cambiato casa.
In tema di traslochi domani sarà anche il giorno di una casa tutta per me. Alla faccia di Virginia Woolf, non una stanza ma un intero appartamento. Al problema dei costi non ci sto ancora pensando. E non intendo cominciare adesso. Però ho già pensato a dove mettere la scrivania, il divano e a dove prendere la legna per il fantastico, signori e signori, caminetto. Che però so già che non tira e allora dovrò fare qualche modifica. E vabbè.
Ma domani non sarò semplicemente l'unica coinquilina di me stessa. Domani diventerò anche famosa. Tutti vedranno la mia chantosa fotina che uso su Feisbuc e le stratosferiche parole che ho usato per descrivere questo social network. Un'opinioncina così che però è finita sull'instant book di Nova-IlSole24ore. Per leggerla dovrete spendere 4,90 euro o attendere che io riesca a postare la cosa sul blog, ma non sarà per oggi, ve lo dico. Quindi andate in edicola damani e chiedete Il Sole e Nova!
Molto più famosi di me sono e saranno Gunter Fracassi, Francesca Biondo e la piccola Sofia che domani a Roma sono fra i premiati del concorso letterario nazionale "Circe una donna tante culture".
Domani poi c'è un tormentone recente: parte alle 9.30 dall'ingresso di Porto Torres (altezza Grendy)la manifestazione contro la chiusura del Petrolchimico di Porto Torres cui prenderò parte per ragioni cronistiche (e non anacronistiche). E pure per dire a Soru che sarà presente lui pure: "ebè sul più bello te ne vai?". Per l'antefatto bypasserò l'autoreferenzialità (concedetemi solo la segnalazione di Alghero.Tv) e vi rimando agli articoli dei quotidiani locali di questi giorni.
Detto questo e scusandomi con Prada per non aver pubblicizzato il Prada day previsto pur ello per domani (manco lo linko o dovrei metterci la faccia di un cinese che confeziona borse dietro una finta parete di un magazzino di una qualunque periferia toscana), il resto dell'elenco sulle cose da fare è ormai scomparso nella moltitudine del nulla. Se mi viene in mente qualcos'altro può essere che vi avviso. saluti cordialissimi

lunedì 1 dicembre 2008

Eon okkupata

Nella sala controllo dell'Eon mancava solo mister Spock, per il resto non c'erano dubbi che fossimo sull'Enterprise e che il nostro fosse un viaggio alle prese con l'ignoto.
Anche perchè se si aspettavano davvero una telefonata dal presidente del consiglio dei ministri, non so, forse sarebbe stata più facile la materializzazione di un Borg o un accordo di pace coi Klingon. Ma l'astronave dei sindacati confederali e territoriali di tutte le categorie occupando la centrale energivora più grande della Sardegna ha comunque raggiunto un obbiettivo: richiamare l'attenzione su una questione di cui adesso basta non scrivo più. vabbè a parte le prossime volte. Perchè che il petrolchimico di Porto Torres sia un luogo controverso, fatto di insanguinamenti di mari e terreni e che rappresenti quell'alternativa forse sbagliata ma ormai irreversibile, nessuno può negarlo. Epperò si sa che è anche pane per 3000 persone. Seppure pane truccato. Seppure pane su cui si ricatta un voto. Ma non diciamolo. Diciamo soltanto che oggi i sindacati hanno colpito un simbolo del potere, il luogo in cui si genera la luce che ho sul comodino e il frullare della mia lavatrice. Hanno superato i cancelli e si sono insediati nel cuore della centrale, dentro la postazione elettronica che appunto sembrava la nave di Star Trek. E da là hanno detto "Noi non vogliamo che il petrolchimico chiuda. Noi vogliamo parlare con Palazzo Chigi. Perchè Roma si deve accorgere di noi. Perchè Roma ci ha spesso dimenticato".
Ho mangiato due mele e bevuto caffè. Ho chiacchierato e fatto foto (e le vedrete). Da Palazzo Chigi non s'è fatto sentire nessuno, ma che importa. Si sapeva. Non s'è fatto sentire nessuno nemmeno per ripulire il territorio dalle scorie di schifo e industria che m'hanno tolto un ricordo che non ho mai avuto, nè io nè i miei coetanei. Un ricordo che poteva essere visione reale di mare splendente e di palazzi della Roma imperiale. Ma questa Roma, quella di oggi, non dice nulla. Non dice che vorrebbe bonificare. Non dice nemmeno che vuole salvare le buste paga di tanta gente che conosco. e che non conosco.
Questa Roma non conosce nessuno.
E quest'industria non ci ha salvato il ricordo. Chissà se almeno si salva lei.

venerdì 28 novembre 2008

Passione all'inferno

Ecco ora va meglio. Ho trovato la musica che cercavo e l'ho trovata grazie a un'amica che non conosco ma che avevo tanta voglia di ritrovare. Un piccola magia che nemmeno so come sia possibile. Prima Madeleine Peyroux poi la mia Billie che però non trovavo più, e così ora scrivo perchè quello mi mancava. Anche se ho scritto tutto il giorno. Anche se dentro la macchina a consumare chilometri e distanze brevi, segmentate e tutte per direzioni diverse, pensavo a cosa scrivere, a come farlo. Tutte scritture diverse. Per indirizzi diversi. Ma infine è questa la stanza che preferisco.
A breve glisserò sotto le coperte a passare la matita sopra le righe delle cose che Seneca diceva a Lucilio. E una riga di qualche sera fa mi tornava anche sopra le confessioni di un amico. E io le sottolineavo con la matita della mente mentre gli davo un passaggio a lavoro. "Passione è una parola che non mi piace. Perchè vuol dire due cose diverse. Poi sta a chi ti ascolta capire davvero". Ed io ricordavo che passione è ciò che uno soffre senza la sua volontà. E poi il pensiero si sottoponeva allo sguardo e mentre me ne tornavo a casa passando fra i ruderi di un villaggio industriale senza padroni non c'era niente che mi facesse male e le strade si componevano sotto i pneumatici ed erano un'intelaiatura molto semplice e banale ed era come se la guardassi dall'alto. Prima la porta dell'inferno, grande e a forma di cancello, che parevano denti sottili e separati, come la bocca del clown di It. Ed era l'industria. Poi la porta del paradiso dove dentro dormivano gli antichi romani e le loro colonne di pietra e i pavimenti a mosaico dove un tempo poggiarono le piante dei piedi. Ed era il museo che s'affaccia sull'area archeologica. Infine la porta del purgatorio, quel luogo nel quale bene o male tutti quanti scegliamo di abitare, per non sentirci nè troppo morti, nè troppo vivi e per semplificare le cose. Dove il sentimento non ci affoga e noi si riesce a dire due cose a chi si incontra per strada senza metterci per forza tutta l'anima. Anzi senza metterci proprio un bel niente. Ed era il palazzo del comune. Passione, dolore che non vuoi. Male che non puoi. La difesa è il purgatorio. Senza passione nella piazza del comune, nella vita comune, nel modo comune di stare. Ma Lucilio aveva appreso cose diverse grazie al suo amico. E sapeva qualcosa che in purgatorio non si sa. E cioè che si può essere bravi a non farsi far male dal male. Ma senza perderselo. Senza perdersi la passione. Apatheia non è impatentia. Invulnerabile è il paradiso, insofferente alla sofferenza il purgatorio.
Il mio amico lavorava all'inferno quella notte avvolto dal pensiero di aver perso il paradiso. Ma il suo animo sa vincere la contrarietà. E per vincerla ha solo bisogno di tempo.

martedì 25 novembre 2008

Il cucciolo è morto



Mi stavo chiedendo: è possibile dare un buco a me stessa? Non farmi un buco, no, ma darmi un buco, ciò che tutti i giornalisti che conosco e anche quelli che non conosco vorrebbero dare ai loro colleghi. Ecco si, è possibile. Lo sto appena facendo. E questo succede evidentemente perchè dare un buco, giornalisticamente parlando, è sempre una cosa molto eccitante. Anche se ciò comporta che il buco te lo dai tu stesso. Sinceramente non mi era mai capitato. Beh, di dare un buco agli altri si, qualche volta non posso che ammetterlo. E anche di prenderlo. Ma a me stessa...a me stessa non è di certo un'esperienza che elenco nella contabilità della mia breve esistenza giornalistica. Ok, lo so, questa cosa è un pò ridicola. Ma l'ho chiesto pure al mio collega e lui ha detto che stando così le cose e volendo proprio impegnarcisi, tecnicamente è possibile. "Solo - ha aggiunto - dattelo stasera, non subito". E così io ho aspettato. Fino ad ora. Ma poi non ce l'ho fatta più. Ed eccomi. E devo dire che ancora non ne sono convinta perchè l'argomento è un pò delicato e non c'è in fondo un granchè da ridere. Anzi. Qualcuno piangerà e mi dispiace seriamente. Ma l'annuncio di oggi lo merita. Mentre Soru si dimette (e il Corriere lo ribattezza Antonello) c'è un'altra di quelle cronache infauste che qualcuno fra i lettori delle pagine dei quotidiani locali non avrà voglia di leggere fino in fondo liquindandola come "solita notizia". Altri leggeranno per automatismo, altri ancora ignoreranno senza pietà. Forse che la notizia nella pagina accanto potrà offrire loro maggior svago. Fra quelli interessati invece ci saranno gli affranti e i gioiosi, gli increduli e gli ottimisti. Ma è così. Storica nel suo piccolo la notizia è che il petrolchimico di Porto Torres chiude, o si ferma come preferiscono dire alla Polimeri. Cosa avrebbe detto Rovelli? Il petrolchimico è morto direbbe la voce fuori campo di un documentario del bouquet sky, mentre passano cuccioli di langusta inquinata con i guanti da metalmeccanico al posto delle chele. Ma certo, per correttezza avremmo dovuto titolare Il petrolchimico si ferma, ma non vi preoccupata gente, si riparte da febbraio! No. L'avrei sconsigliato anche alle girls del giornalino dell'Azuni di fare un titolo così. Oppure avremmo potuto scrivere che niente è perduto a parte il paradiso di un tempo. Dai, ragazzi, il petrolchimico è morto, si torna a fare il bagno a Minciaredda. Con Gavino Sale e le orate al pcb. Macchè. Non c'è un modo buono o cattivo per parlare della lenta dismissione di questa striscia di sabbia accanto alla quale muoriamo e nasciamo ogni giorno. Non c'è un verso giusto. Il sindacalista potrà agitarsi. Il politico potrà sciorinare pozioni. Il lavoratore potrà piangere. L'ambientalista potrà cercare il costume da bagno e scendere in spiaggia. Il documentarista girerà un documentario dicendo: è morto. Ma il cadavere non sarà rimosso. E morto non servirà a un granchè. Una lingua di sabbia è stata tinta di rosso. Per niente, dunque.
Ora chiudo, se no scatta la mezzanotte e non è più un buco.
Ciao Renato.

lunedì 24 novembre 2008

Vento che brucia

Sabato è affondata una barca a vela nel porto di Porto Torres. Un vento a 40 nodi costanti, raffiche a 50, ne ha strappato gli ormeggi scaraventando il suo marinaio in acqua dov'è rimasto a gelare per un pò. Poi gli scogli e la falla. Io piangevo per il mio giardino bruciato, dopo mesi di lavoro. Per il mango, il mio dolce mango fiorito fino a pochi giorni fa, così cresciuto, così intraprendente. Pure i lombrichi lunghi mezzo metro Cri ci aveva messo. E le mie gambe che tremavano, ma ero contenta. Tutto bruciato. L'ipomea, la mandevillea, il solanum bellissimo. Tutto andato, a parte le piante grasse. Una tristezza che ti spiaccica sulla sedia e ti lascia vuota. Senza pollici. E ancora non voglio guardare fuori dalla finestra. Appena calma ci metterò la rete. Ma avrei dovuto farlo prima. Il vento infuocato di sale ha bruciato ogni cosa cogliendoci alla sprovvista. Il giardino e la barca.
Ma resistere a una barca che muore, no, è davvero troppo.

sabato 22 novembre 2008

Fogne e pasticcini (per giornalisti) e della volontà di carriera



A marzo scorso la pensavo così (vedi giù), oggi che mi godo questo vento a 40 nodi su un mare in burrasca da dietro la finestra e quasi quasi vorrei essere sopra Zinzura a provare l'emozione di uno sbandamento pericoloso, non lo so più. Oggi vedo sul giornale un mio pezzo non firmato. Cose d'altri tempi, quando mi arrabbattavo ogni volta che c'erano imprecisioni in pagina come questa. Non è che sia grave e devo dire che la cosa in fondo non mi ha infastidito troppo: il pezzo è piccoletto e nemmeno un granchè, magari mi hanno fatto pure un favore. Ma più precisamente credo si sia trattato di una distrazione, un fatto dovuto al troppo lavoro da redattori, alle mille telefonate e ai mille cambi di programma ogni dieci minuti. Conosco la vicenda, l'ho vissuta personalmente per mesi quando vivevo in redazione a Cagliari. In realtà non invidio chi ci si trova in mezzo. qualcosa manca, certo, ma non sono certa sia una redazione. forse di più una barca. Dare e costruire notizie è davvero un bel mestiere, ma ci vuole un tempo per tutto. Un mio amico giornalista ha pensato qualche volta di mollare, ha pensato "cazzo la vita è fuori"; certo poi lo stipendio mensile fa ricredere tutti e direi, a ragione. Una mia amica collaboratrice s'è stancata è ha mollato del tutto, dopo due anni di scuola per giornalisti a settemila euro e due anni di collaborazione intensissima col giornale, e non prima di aver scritto al presidente nazionale della stampa una lunga lettera da collaboratrice "fregata".
In fondo non credo di aver costruito la mia incertezza professionale per niente. L'incertezza può portare a nuove strategie. Grande Robe. dice che non ha rimpianti.
Pubblico qua i miei pensieri di allora che inviai a un amico, perchè le cose di oggi mi ricordano quelle di ieri ma la visione è un'altra. In fondo... meglio free che off. Rispetto ad allora posso solo dire che una telefonata in più evidentemente mi pesava troppo, perchè cominciano ad essere tante se le guardi in bolletta e in pazienza dalla prima all'ultima, partendo dal 2004.

marzo 2008
quando sarà, un giorno o l'altro, la risposta arriverà chiara e tagliente. appositamente affilata nel tempo per essere ancora più maledetta e dolorosa. mi dirò da sola di aver provocato volontariamente la mia incertezza nella costruzione di un'identità professionale. mi dirò di non averci creduto abbastanza. mi dirò che avrei dovuto insistere quel giorno. che cinque telefonate consecutive in una mattinata in cerca di un neo direttore al quale ogni volta devi ricordare chi sei e la sensazione crescente di disagio persino con la centralinista neofita che niente sa di te e che come si permette lei a non sapere il tuo nome, un nome lungo ma che in 4 anni tutti avevano imparato benissimo. Beh quelle cinque telefonate non bastavano. cinque telefonate sono poche se confrontate con la volontà di carriera. cinque misere telefonate... che costava farne una in più? cosa costava fare un viaggio in più dopo avere atteso un anno, quattro anni? dopo aver percorso duemilacento chilometri su e giù per l'isola. dopo aver sperato e corso. aspettato e creduto.
sarò io la prima a dirmi di non averci creduto. sarò la prima a ricordarmi di aver temuto, in un istante in cui il destino sembrava quasi segnato, di perdere la mia libertà e la spontaneità in cambio di uno stipendio mensile fisso e di orari assassini. e sopratutto sarò io la prima a ricordarmi che in fondo, di fare la giornalista non dovevo essere così certa. specie perchè cercando nel dna questa propensione non sono certa di averla mai trovata.
eppure una insistente sensazione di ingiustizia mi ha colto per mesi con impertinenza. mi ha svegliato nei sogni, ritardato la catarsi, agitato gli umori, incrementato l'incertezza. I soliti 4 anni che si fa in fretta a dire 4: che però sono 4 anni di notizie, di telefonate, di contatti, di interviste, di responsabilità e ansie non indifferenti per un temperamento debole e robusto come il mio. Accidenti quanto tempo. Accidenti quante cose fatte. E perché mai, a ripensarci, non sono bastati questi 4 anni a dimostrare che a crederci nel progetto io c'ero tutta? Forse che altri, oggi ben pagati e con una solida (sigh!) identità di giornalista, almeno per quella che un rigido e timbrato tesserino professionale riconosce loro, hanno dimostrato con maggior forza e intensità di quanto abbia fatto io, di crederci?
O cos'è piuttosto questa? la sfiga del collaboratore? di quello che non era nel posto giusto al momento giusto e che sopratutto non aveva il lasciapassare giusto col direttore o l'editore del momento, per evitare di doverci credere così tanto in seguito?... Allora registro che c'è qualcuno che finisce dentro il progetto di altri senza dover necessariamente dimostrare di crederci con tutte le forze, e qualcunaltro che invece per entrare nel progetto deve sbucciarsi le ginocchia, perdere i capelli, giurare fedeltà, anche se questo può costare mancati stipendi per 4 anni e sudore, ansia, tanta ansia. Ecco. A me veniva richiesto di crederci. Ad altri no, ma questo non conta più. C'è chi ha avuto la vita facile, ma non a tutti è concesso lo stesso destino. Salvo chiedersi a un certo punto "perché mai il mio è sempre quello più sfigato?".
E in fondo devo dire che preferisco sentirmi colpevole, almeno so di avere qualcosa da migliorare, piuttosto che vittima. Che ci faccio con la consapevolezza di essere stata fregata? Non avrò mai modo di vendicarmi, né alla fine ciò mi porterebbe a vera soddisfazione. Inoltre rimandando tutto alla solita storia degli incozzati, già si diventa obsoleti. Non fai notizia. Sei uguale al poveraccio che vive in una casa in cui lo Iacp o chi per lui ha dimenticato di aggiustare le fogne. Vivi fra gli insetti e il fatto di doverli cacciare in continuazione, anche d'inverno, quando altri d'inverno pensano a sorseggiare un buon te con pasticcini, seduti a piedi scalzi sopra una sedia girevole di una redazione che a tutto pensa, tranne alla notizia. Il fatto che tu non abbia tempo da dedicare a questa pratica è solo un problema tuo. Non basta più la scusa delle fogne e dello Iacp per non aver trovato lo spazio di un buon te con pasticcini. Non basta essere collaboratore per spiegare al mondo il motivo per cui non fai il giornalista professionista. La solita scusa, diranno coloro annoiati dalle lamentele.
Le lamentele annoiano. Non ce n'è un tipo, per legittimo che possa essere, da cui non si tragga un'infinita noia all'ascolto. Delle lamentele si soddisfano soltanto i giornalisti quando sanno che serviranno per condire un pezzo da presentare sul giornale. Punto.
Così si muore dello stesso male che ha afflitto i tuoi interlocutori ogni volta che hai scritto di qualcuno lasciato senza stipendio, senz'acqua, senza fogne funzionanti. I primi a non scrivere delle proprie fogne sono i giornalisti: le loro vicissitudini annoierebbero: saperlo aiuta anche se frustra.
Dunque niente lamentele. Sarò io la colpevole. Non ho dimostrato di crederci. Il fastidio nei confronti di chi non ha dovuto dimostrare proprio un bel niente mi ha girato le palle a elica, ma è inutile considerazione delle cose che sono. Che sono e basta.

mercoledì 19 novembre 2008

La volpe, l'uva e il gioco della curiosità




Fatte foto per la Botte e il Cilindro.
Ieri mattina il Ferroviario pullulava di bimbetti della scuola elementare con le felpine e le scarpette da tennis, i giubbottini e la pellicetta sul bordo del cappuccio, le codette e i capelli a spazzola, i sorrisi smaglianti, le scintille d'entusiasmo improvviso e all'apparenza immotivate e Simone che grida alla maestra "Maè, io qui ci sono già venuto una volta, quando c'ero venuto", e le maestre a scherzare anche loro in preda a una volatile frivolezza da signore in gita.
Quanto sbaraglio mentre passo col cavalletto della macchina fotografica, non di certo un manfrotto, in mezzo allo sciame di cappellini e frangette in agitazione. Oltre il portone verde in ferro i camerini sono immersi nella calma.

Di scena tutti gli animali delle storie di Esopo. Il lupo, l'agnello, il topo di campagna e il topo di città, la volpe e la cornacchia e le facce indescrivibili di Luisella e Nadia e Stefano a far ridere la sala dal più grandetto sino all'ultimo primino.

Prova a invitare una platea di studenti delle superiori, alla fine di uno spettacolo teatrale, a fare qualche domanda: dopo un primo tentativo andato miseramente a vuoto s'alzeranno due, forse tre manine intirizzite.
Prova a farlo con un centinaio di ragazzini e ragazzine delle medie. Le mani interventiste potranno arrivare a sei, sette, esagerando dieci.
Ma tu prova a chiedere di formulare una domanda sullo spetatcolo a una platea di bimbetti fra i cinqueemezzo e i dieci anni: alzeranno tutti la mano, ma proprio tutti, anche chi non ha un cazzo da chiedere, l'importante è partecipare. Simone e Massimiliano dal mixer avranno difficoltà a vedere i loro amici sul palco, e il video di Consuelo sembrerà girato durante un concerto dei pink floyd.
Una bimbetta se ne sta col braccino sospeso per aria da venti minuti quando il dito di Luisella dal palco la sceglie fra tutti i compagnetti, e come da un sonno ipnotico la bimbetta si ritrova sveglia in teatro col braccio alzato e senza alcuna domanda da porre.

Finchè siamo piccoli pensiamo di avere mille cose da chiedere e non ci facciamo troppi scrupoli. Col tempo però può capitare di imparare a non mettere più in gioco la nostra sana curiosità.
E abbassiamo la mano.

lunedì 17 novembre 2008

E.On diventa E.Off. Carbonari contro il carbone in azione




Attenzione. La centrale energivora sita in Fiume Santo (Porto Torres) E.On, LA SCORSA NOTTE HA CAMBIATO NOME. QUALCUNO L'HA SPENTA!!
E.off project, questo è il nome degli attivisti che hanno preparato il cartellone alternativo per installarlo al posto di quello vero durante la scorsa notte. Si definiscono "carbonari contro il carbone": la loro protesta contro il colosso tedesco è creativa quanto sottile, "un atto semplice ma devastante" per dirla con le loro parole. Scrivono: "e.off è l’indignazione che copia – e ricopre – la faccia colorata della speculazione a danno dell’ambiente e della salute".

La E.On ha preso, dal luglio di quest'anno, il posto della spagnola Endesa nella guida della centrale termoelettrica che sorge in territorio sassarese, a due passi dalla cittadina turritana. La centrale è in grado di produrre 960 megawatt (fra i gruppi 3 e 4 che marciano a carbone e l'1 e il 2 per ora ancora predisposti per bruciare olio combustibile. Lo scorso 19 ottobre è stata presa d'assalto, in un clamore ovvio visti i mezzi usati, dalla nave e dai gommoni di Green Peace. Dopo 14 ore di occupazione gli ambientalisti avevano mollato gli ormeggi soltanto quando l’assessore regionale all’Ambiente, Cicito Morittu e il sindaco di Porto Torres Luciano Mura, hanno accettato di firmare un documento col quale si impegnano «ad allineare il Piano energetico della Sardegna al rispetto dei parametri europei, con l’obiettivo di superare entro il 2012 la percentuale del venti per cento di produzione da energie rinnovabili».
Ma è chiaro che nelle menti di qualcuno ha continuato a circolare il germe della protesta e della rivalsa.

Pubblico qui di seguito il comunicato diffuso da E.Off project:

e.off

bruciare energia

per produrre coscienza



e.on Italia è uno dei principali operatori del settore dell'energia in Italia. Appartiene al gruppo e.on, il più grande gruppo energetico a capitale completamente privato al mondo. e.off, invece, è la nostra risposta al tentativo di anestetizzare l’opinione pubblica. La Regione Sardegna, infatti, non solo si è resa complice dell’ennesimo crimine ambientale, ma ha anche cercato di mettere la museruola alla voce della protesta, al dissenso popolare.

e.off è l’indignazione che copia – e ricopre – la faccia colorata della speculazione a danno dell’ambiente e della salute. e.off nascondendo evidenzia il lucro condiviso dal pubblico e dal privato. e.off è un atto semplice, ma devastante. È la denuncia di chi non ha diritto di replica. È il simbolo del mutamento possibile. È l’unica speranza di sopravvivenza: se il gesto si fa collettivo, e la responsabilità diventa universale.
e.off è marketing al negativo. Un marchio che cela l’infamia sotto lo sberleffo. Forse sono già arrivati e hanno nascosto la vergogna, come si fa con la cenere sotto il tappeto. Ma abbiamo scoperto la loro vulnerabilità. Sono invincibili solo se ci lasciamo cullare nell’inerzia. Però noi siamo cervello e gambe, intelligenza e sdegno. Saremo sempre lì. Adesso lo sanno anche loro. È questa, la prima vittoria.
Noi, vittime della censura e dell’inquinamento; noi, braccati dalla disoccupazione e dalla colonizzazione industriale; noi, che per reclamare dignità siamo costretti ad agire abusivamente, nel segreto della notte; noi, Carbonari contro il carbone!

domenica 16 novembre 2008

Bando della matassa

bando della matassa
qual'è?
è una matassa
quasi mi ripugna scriverlo
ma ho scoperto
che s'impreca per esserci
che il desiderio complica
che lo sforzo libera
che l'alterigia è goffa
che la dolcezza pure a seconda dei casi e i casi sono due
che si può avere un dentiera ricostruita
che nel sogno si scorda la matassa e di giorno non si trova il bando

sabato 15 novembre 2008

Eni lascia. Porto Torres s'ammoscia. Crisi di un territorio

A parte che stamattina me ne sarei rimasta davanti al pc a farmi le cose mie riparata dal novembre infimo sotto la copertina rossa. A parte che un sacco di gente ha pensato la stessa cosa però al contrario mio non l'ha disattesa. A parte che i miei colleghi a quest'ora staranno arrabbattandosi per individuare una notizia dal taccuino da mettere in attacco del pezzo.
Ma tant'è. I fatti son questi. La stazione marittima di Porto Torres contava poco più di un centinaio di presenze stamattina. Erano quasi interamente operai del petrolchimico, in sciopero da 15 giorni. Al tavolo degli imputati, no scusate, dei politici, fra tutti un cardigan nero nascondeva il corpicino smilzo dell'assessore regionale all'industria Concetta Rau. Accanto il corpicione del sindaco turritano Luciano Mura apriva i lavori inviando, senza tanti giri di parole, indignazione e sgomento all'indirizzo Eni e al governo.
"A tutti i cittadini - recita il volantino che mi aveva consegnato Gianni poco prima - l'economia della provincia di Sassari sta per..MORIRE!!!!!". A guardare la sala e poi di nuovo il volantino veniva da pensare che la città non rispondeva, nè aveva fatto caso, a nessun appello in nome di questa dismissione petrolchimica. "Invitiamo - continua il comunicato - tutta la popolazione a mobilitarsi e a sostenere le inziative che i sindacati e i lavoratori intraprenderanno nei prossimi giorni per dire no alla chiusura dello stabilimento petrolchimico di Porto Torres e alla morte dell'intera economia della provincia di Sassari". C'è anche da dire che di comunicati simili negli anni ne ho letto a decine e molti, come raccontavo a Samuele, non sono riuscita nemmeno a buttarli via e li tengo ancora conservati nelle apposite cartellette della scrivania da cui scrivo.

Ebbene si. Eni. Questa piccola grande multinazionale della chimica nonchè contrallata statale, ha così annunciato di lasciarci. A fine ottobre già ventilava la fermata per un anno degli impianti portotorresi del fenolo e del cumene. Il 31 ottobre la decisione. Gli impianti strategici e appena riammodernati del comparto petrolchimico di Porto Torres si fermano signori, ma perchè non è dato ancora saperlo.
Sindacati e lavoratori denunciano che questa decisione avviene nel preciso e delicato momento in cui la Ineos si preparava a vendere all'imprenditore Sartor gli impianti di pvc turritani, altro passaggio fondamentale per il recupero della produzione industriale sarda. Sartor, visto il tempestivo blocco di Eni avrà pensato bene e detto con parole sue qualcosa tipo: "Uè, sò mica matto, per ora non compro un bel niente". E oggi siamo a un punto fermo con gli operai che bloccano le navi trasportatrici di combustibili, in attesa di scoprire se 200 di loro dovranno trovarsi una nuova occupazione nelle prossime settimane. E' chiaro che la storia è molto più lunga e complicata di così. Quando ho cominciato a scrivere per il giornale di Sardegna nel 2004 le cose non è che fossero messe molto meglio. E quell'accordo di programma sulla chimica firmato nel 2003 non si è dimostrato lo strumento efficace per evitare la dismissione. Come ricordava stamattina Franco Apeddu, ex direttore di stabilimento alla Ineos, nemmeno l'intesa siglata fra Regione e Endesa nel 2007 per la fornitura di energia elettrica a basso costo per le imprese, ha avuto l'esito che tutti si attendevano.
Oggi tutti accusano il governo di non aver insistito con Eni a fare precise dichiarazioni sugli impianti di punta sui quali tempo prima la multinazionale aveva annunciato di voler investire.
Tutti accusano Eni - con un fatturato di 10 miliardi di euro nel 2007 e il 73 per cento degli utili nell'ultimo trimestre - di andarsene da Porto Torres, col nome di Polimeri Europa, quattro anni prima degli accordi previsti e lasciando fango e desolazione fra gli impianti di quello che i sindacalisti continuano a definire uno dei più grandi stabilimenti d'Italia.
Del resto ci sarebbe da pensare che forse per Eni, che saprà esattamente quali calcoli fare per star bene, questo stabilimento non è così importante.
Eppure, lo diceva Luciano Mura, "per anni l'Eni in questo territorio, se mi permettete, ha scorrazzato". Le condizioni ambientali e il tasso d'incidenza tumorale che colpisce questa zona ce lo raccontano ampiamente. E nonostante le dichiarazioni di Apeddu ("Le bonifiche sono in corso da anni (...) Cinque milioni di metri cubi di acqua della falda inquinata sono stati ripuliti (...)La barriera idraulica funziona (...) Il mare, anche a Minciaredda è pulito (...) A maggio e novembre del 2006 i pesci, inquinati da pcb - e non da diossine - erano meno inquinati di quelli analizzati nel golfo di Olbia")la questione inquinamento continua a rappresentare una dura minaccia per il territorio. Immagino che i cittadini pensino anche a questo quando decidono (se lo decidono) di non rispondere all'appello degli operai.
Oggi proprio quell'emergenza bonifiche impedisce al ministero dell'ambiente di dare il proprio benestare alla ripresa dell'economia petrolchimica in suolo turritano. E hai voglia di ripetere al direttore del ministero, dottor Mascazzini, che il muro antinquinamento non serve o non è l'urgenza primaria. Quel muro, come per Assemini, s'ha da fare ribatte lui a suon di ordinanze. Mentre la priorità per tutti i presenti stamani sono ben altre. La voce grossa della Rau le ribadiva: "Il settore chimico è strategico a livello nazionale: l'industria può esistere anche rispettando l'ambiente". In sostanza tra le sedie ghiacciate della stazione marittima si legittimava un principio vecchio quanto efficace in tempi difficili: non si butta via niente. Turismo, nautica, industria: tutto compatibile, secondo i nostri rappresentanti. Basta volerlo. E che il governo, l'Eni, e i pesci del golfo siano con noi.

mercoledì 12 novembre 2008

Precari senza vela



Lunedì ho raccolto olive. Martedì ho portato un aspirante comandante a fare gli ormeggi in porto. Oggi preparerò la lezione del laboratorio di giornalismo. Domani metterò altra terra in giardino. Venerdì ho la lezione al classico. Sabato lavo le scale di casa. Forse.
Però la mia testa macina di poter, un giorno di un novembre qualunque, volare sino a Las Palmas (Gran Canarie) e cercare un imbarco free per la grande attraversata che proprio in questi giorni attende sui moli e completa gli equipaggi. Se voi adesso potete e volete perchè non avete impegni con lezioni al liceo classico, olive da raccogliere, un giardino da sistemare, scale da lavare (e altre sciocchezze da vita precaria e quotidiana) cacchio! ma cosa state aspettando?? andate qui http://www.turismodecanarias.com/it/ahora-en-canarias/2008/11/17/arc---regata-transoceanica.
Io, se non sarò occupata con la mia precarietà, ci sarò il prossimo anno;-)

domenica 9 novembre 2008

L'alieno Soru. O della (e)lezione di Obama







Renato Soru è nei blog di alcuni dopo che la maestra unica Daria Bignardi lo ha chiamato alla lavagna delle Invasioni barbariche venerdì scorso. Luca de Biase lo ha nominato spesso nei suoi post, ma sono in molti ad osservarlo con curiosità. Non riconoscono in lui il tipico uomo politico del nostro tempo italiano e per questo ne sono attratti. Colpiti dall'antimediaticità che lo contrappone agli showman/girls suoi colleghi, sembrano scovare in lui un nuovo tipo, un leader diverso, carismatico ma con altri attributi. Fra coloro che hanno sentito qualche volta, qua e là, parlare di questo magnate buono, imprenditore tecnologico e rappresentante politico sui generis - gli stessi che hanno applaudito in cuor loro alla rivoluzione politica e culturale delle elezioni americane - sembra circolare un germe che stuzzica la fantasia, mietitore di una nuova strana sensazione: quella che conduce dritta dritta all'idea che una via nuova alla rappresentanza e alla conduzione politica del nostro Paese sia un dovere urgente e un diritto concreto.
Il valore che il nero di Obama rappresenta per l'America ha bisogno di una declinazione in termini italiani.
Se davvero emanciparsi rappresenta una necessità anche per l'Italia.
E se la politica aggressiva, xenofoba e conservatrice di Bush è ciò di quanto più urgente occorreva cambiare negli Stati Uniti, in Italia la necessità forse più grande - scontata ma reale quant'è vero che abbiamo bisogno di aria per respirare - in politica come negli altri settori, sembra essere rappresentata dall'onestà e dalla serietà.
Per questo sorrido non senza riserve, ma anche con grande interesse, ai commenti dei blogger che nei loro post hanno linkato l'intervista di Soru chiedendosi sbigottiti: "Chi è questo alieno che davanti alle domande giornalisticamente naif della Bignardi sembra sempre sul punto di restare senza parole. E che poi però le dice di santa ragione?? Chi è quest'uomo che non sembra aver bisogno necessariamente di passare per il linguaggio degli anchorman per esprimere, in tv ma in qualunque altra circostanza, cosa significa e quali sono le priorità del fare politica?".
Questo germe mi sembra buono da prendere e riproporre . Chiederci concretamente di cosa abbiamo bisogno per migliorare e crescere oggi, ovvero - per dirla con Massimo Gramellini - scoprire qual'è il talento piccolo o grande che sia, che si nasconde dentro le nostre individualità o dentro le nostre nazioni, mi sembra il miglior virus nel quale si possa incappare.

sabato 8 novembre 2008

Incidente al molo di Porto Torres




Sono decine le barchette che la notte popolano l'ingresso del porto di Porto Torres, in attesa di portare a casa un bottino di pesce. Spesso senza regola. Spesso a luci spente. E sembra che proprio per evitare la collisione con una di queste imbarcazioni uno dei barcaioli ieri notte in servizio è finito sopra gli scogli rischiando la vita.
Intorno alle 22.30, mare calmo, visibilità discreta. L'uomo, un' esperto pilota, stava rientrando in porto dopo aver accompagnato alcune persone dell'equipaggio di una delle petroliere ferme davanti alla costa turritana. Improvvisamente si è reso conto che la sua rotta era in collisione con un'altra barca non lontano dall'ingresso del molo. Virando bruscamente per evitare lo scontro ha preso però in pieno la scogliera fratturandosi tre costole e procurandosi un trauma cranico e ferite alla bocca. Questa mattina le operazioni di recupero dell'imbarcazione.

venerdì 7 novembre 2008

Italiani impossibili

Lo slogan "Siamo tutti americani" che si recitava all'indomani delle torri non mi ha mai corteggiato.
Oggi però che vedo un uomo "abbronzato" alla presidenza degli Usa e uno decalvizzato alla guida dell'Italia (ma anche senza di lui mi sarebbe bastato un Gasparri qualunque), mi verrebbe uno slogan nuovo, per quanto del tutto scontato, da lanciare al mondo.
"Italiani si nasce. Per fortuna vostra".
....sigh...

mercoledì 5 novembre 2008

Canestri e candeline

Giornata piena ieri. Per poco diventava piena di iconcine feisbuchiane beneauguranti. E invece ZAC! c'ho zaccato di mezzo mamma e il suo pandispagna con tre candeline sopra, in segno dei miei trentatrèanni. "33??!!" Gli occhi di babbo mi dicevano che c'era un'errore, che la tortaia s'era confusa di un anno. "Ah! mi sembrava!" E ne tiravo via una candelina dal pandispagna.
Quando tornavo lungo la provinciale era già buio. E pioggia pure. E il pc l'ho visto solo di striscio.
E mentre aspiravo una biretta, a chiacchierare sotto la tenda del bar di musica dispersa e cani scappati, c'è Obama a Chicago che gioca a basket per scaricare i nervi in attesa dello scrutinio e di mille simili pettegolezzi. Sua nonna non c'è più e mi dispiace umanamente . Penso: chi gli preparerà un pandispagna con tre candeline, ognuna per uno dei trecento grandi elettori che sogna ad ogni canestro e che lo mette in agonìa ogni volta che la sfera arancione guizza di lato dopo un inutile girotondo sul cesto? Sto sicuramente meglio io di lui penso.

Ti immagini quest'uomo nero coi calzoncini nike e la maglia dei Chicago Bulls tutto sudato a sfogare tossine e canestri davanti alle guardie del corpo a bordo campo con gli occhiali scuri e i walkie-talkie in mano.
E suda e suda e suda Obama. S'è quasi scolorito. Adesso assomiglia a McCain.
Non si può dire non si sia sbattuto anche per oggi.
Ma diciamo che, visto come sono andate le cose stanotte, da fare ne avrà per parecchio tempo.
A me oggi non resta che un pezzo di pandispagna. A lui un America intera.


lunedì 3 novembre 2008

All'improvviso uno sconosciuto

Su una cosa non ho dubbi: che la curiosità può mangiarci vivi.
E tu? e tu come stai?che fai adesso?dove sei con chi stai che lavoro fai sei felice hai cambiato ragazza???sei sposato!!hai due figli!! tornerai? e non vieni mai qui?
L'uomo maturo torna sempre alla casa, vuole sapere se il posto che ha lasciato tanto tempo fa continuerà a fargli la stessa impressione di prima che partisse.
L'uomo torna come un cagnolino cui una mano ha lanciato il legnetto.
Lo poggerà in terra arrestando il passo. S'incanterà dinanzi alla scala mobile della stazione per rivedere se stesso inserire cinquecento lire dentro una macchina del caffè a due piani col quotidiano sotto al braccio. Cercherà il sole del primo pomeriggio negli inverni di allora, sulle rotonde parcheggiato con l'auto, il quotidiano in grembo e una sigaretta fra le dita. Ritroverà gli amici delle vecchie compagnie e vorrà sapere di loro e delle nuove occupazioni che ne fanno persone diverse. Io, se tornassi a Roma, ci tornerei così. E se tornassi in Sicilia. E se tornassi a Milano.
A volte ci penseremo amici perchè
eravamo amici, diceva Meneghello nel 1963, a proposito delle vecchie compagnie.
Ma l'uomo contemporaneo ha nuovi strumenti per tornare al passato. E se per farlo usasse il facebook (si, ancora lui!), cliccando Confirm si ritroverebbe catapultato
in media res, dentro la pagina di un vecchio amico; in pratica nel bel mezzo della vita di uno sconosciuto. E senza capirci granchè.

giovedì 30 ottobre 2008

Il Barman e il Facebook

Dentro un lunotto di pioggia senza tergicristalli che producano effetti concreti sulla visibilità.
Due personaggi discutono.
Sanno di essere al porto perchè ci si son recati prima che cominciasse a piovere.
La discussione è la stessa da circa due ore. E quella si che ha prodotto effetti concreti. Nell'ordine: sull'indigestione della pizza, sulla convinzione che l'argomento non sia quello adatto ai due, sulla convinzione che i due non siano adatti l'uno all'altro, sulla voglia di essere scorrettamente violenti, sul piacere di darsi ragione a vicenda, alla fine.

Il barman: "Mi fai finire? Eh? Ci riesci?"
La cazzeggiatrice: ""
Il barman: "Lo conosco il Facebook. Come fai a dire che non lo conosco?"
La cazzeggiatrice: "Io dico solo che fino a che non ci stai davvero dentro, finchè non lo abiti un pò, non riesci a renderti conto di cosa sia e delle potenzialità che può offrirti.."
Barman: "Ma ti ho detto che ne ho visti tanti di facebbok e il 90 per cento di quelli che ho visto..."
Cazzeggiatrice: "Ma se non hai un facebook..."
Barman: "vabbè allora hai ragione tu.."
Cazzeggiatrice: "vabbè... dì, dì.."
Barman: "sono tutti così..Ciao vuoi essere mio amico?ho 32 anni, sono single.."
Cazzeggiatrice: "ma io non lo uso così.."
Barman, sarcastico: "allora tu sei una dei pochi che lo usa bene"
Cazzeggiatrice, imperturbata dal sarcasmo: "io lo uso come tutti gli altri, non esiste un modo buono e uno cattivo di usarlo. E io non mi sono inventata un modo di usare facebook. Faccio come gli altri"
Barman, occhi al cielo
Cazzeggiatrice, affranta
Barman: "io non ci perdo tempo. Se ti serve per lavoro allora va bene, ma per stare li, a dirsi due stronzate, a mettere due foto... Ah bella la fontanella di Londra..Ah che figo che sei in quella posa.."
C.: "eh si, si che si cazzeggia, ma fa parte della vita anche quello"
B.: "io preferisco chiamarti e chiederti se ti va di prendere un caffè e fare due chiacchiere"
C., sempre più affranta
B., sguardo perso sul lunotto
C.: "ma scusa, se è una cazzata com'è allora che in Inghilterra le aziende prima di assumerti vanno a vedere il tuo facebook? e questo non lo dico io, ma una ricerca che ho letto.."
B.: "io credo a quello che vedo, non a quello che dicono gli altri"
C.: "e non vedi bene.."
B., potrebbe uccidere C
C., sa che sta rischiando la vita
B.: "magari in Inghilterra lo usano diversamente dall'Italia"
C.: "lo usano come gli altri, solo che è diffuso da molto più tempo e uno invece di avere quella settantina di contatti come me, ne ha mille, duemila.."
B.:"io sul myspace ho cinquemila contatti. Lo uso per lavoro, ma mi sta sulle palle lo stesso. Vengono, ti cercano, ti fanno domande cretine, hanno voglia di perdere tempo. Io no. Io preferisco condividere le mie cose con amici veri, non con amici virtuali"
C., colta da improvvisa lucidità:"ma il virtuale non è meno reale del reale. Il virtuale è solo uno dei modi che abbiamo imparato ad usare per relazionarci con gli altri. Noi - tu, io, tanti, milioni di persone - abbiamo imparato a relazionarci anche facendo a meno della carne e delle ossa.."
B.: "ascò, io piuttosto ti mando un sms e ti dico Vediamoci!"
C., sempre più ispirata: "Ed è un sms! Ancora io non compaio! Lo vedi?? E' virtuale anche quello! Eppure un sms ha degli effetti su di noi, effetti concreti, sulle nostre emozioni, sul fare. Quante volte hai ricevuto un messaggio da un tuo amico che hai letto dandogli una certa intonazione e hai risposto di conseguenza, mentre invece il tuo amico lo aveva scritto immaginando un tono e un significato diversi da quelli che avevi dedotto tu? E come nella vita reale ci sono le incomprensioni, così esistono sul virtuale. E come nella vita reale si cazzeggia, così su facebook si cazzeggia! Ma è sempre un relazionarsi e condividere.
C.: "Ma io non voglio condividere. Non me ne frega niente di condividere su facebook una foto con centinaia di persone, o una frasetta cretina postata perchè in quel momento sono depresso, o euforico, o accattivante e tutti allora devono dirmi qualcosa sul mio stato, che magari avevo una settimana fa. Anche gente con cui non mi interessa relazionarmi in quel momento. E ci perdo tempo, e metto altre foto, e scrivo altre cazzate e mi scambio un'iconcina col boccale di birra...Ho altro da fare"
C.: "Ma scusa, immagina cosa fai quando vai a una festa. Incontri i tuoi amici, ma può capitare che incontri anche persone che non conoscevi prima. E che fai? Ti bevi una birra. Parli. Scambi. Fai discorsi, dici cazzate. Facebook riproduce in parte questi meccanismi, solo che bypassa il fatto di trovarsi fisicamente uno davanti all'altro. Ti può capitare che arrivi la richiesta di amicizia di uno che non conosci, ma tu, in vantaggio rispetto alla festa reale, puoi pure ignorarlo.. E' sempre comunque un modo per raggiungere ed essere raggiunti.."
B.:"Si ho capito. Ma quello che non hai capito tu è che io faccio il barman. Io passo dieci ore dentro il mio locale e sono raggiunto in continuazione da gente di tutti i tipi, che conosco e che non conosco, che ride o che piange, che vuole un caffè o uno psicologo con cui confessarsi. Io ne ho le balle piene di essere raggiunto!"

La cazzeggiatrice a quel punto ha capito.
Silenzio.
Guarda la pioggia dal lunotto e si gode l'intimità di essere al porto senza vederlo. E senza che nessuno la veda.
In bilico fra il diritto all'oblìo e la comunicazione di sè, diceva ZetaVu.
E va bene che sul suo blog, la cazzeggiatrice stava per postare un decalogo sui perché Facebook è uno strumento utile, per via di quelle pagine che hanno un pò il sapore dei diari di bordo, sui post e sui commenti e sulle foto che soddisfano quel normale desiderio di auto mise en scene salutare all'identità e alla vita sociale, e ancora sulle foto di cui non si guarda all'estetica ma all'esperienza condivisa..
E va bene..
Ma ora la cazzeggiatrice pensa che si... che il barman abbia ragione e che Facebook in fondo sia un modo per essere al porto mentre tutti lo sanno. E che in quel porto condiviso il tergicristalli ha cancellato la poesia della pioggia sopra il lunotto.
E che c'è anche molto, molto, molto di cazzeggio in tutto questo.


mercoledì 29 ottobre 2008

E piangeranno i moai. Cliccando sui naviganti nel mondo



Grigio pioggia e pioggia. Buio in anticipo, ma sono in ritardo io sulla vitalità.
Tv lontana, dice di gente che aggiusta barche. La sento di sbieco. Un sito racconta invece di barche ovunque, in navigazione, in porto, in attesa di compiere giri del mondo o di ritorno da sabbatiche pause. Le vedi, sciano sui mari digitali del portale, ma sono poi veri, con vele aperte sul vento che aspira e sospinge, hanno longitudini e latitudini al dettaglio, hanno nomi e cognomi, e rotte, ed equipaggi. Le segui, le clicchi, le apri, per quel poco che puoi ci entri. Roland è a bordo de La Boudeuse, è solo, in Atlantico, sua moglie e i figli lo attendono sui mari di casa, quelli comuni anche a me. Michel e Nadine strisciano sopra CapoVerde. Fra un mese, forse meno, passeggeranno lungo le banchine di Cannes indossando maglie di lana e jeans e niente più salsedine.
Greg ha trovato l'Isola di Pasqua. Forse sta guardando un moai e son soli, lui e il moai. Le loro facce si assomiglieranno, avranno qualcosa da dirsi e finite le storie Greg riprenderà il largo a bordo dei suoi dieci metri di casa. E piangeranno i moai di tornare ad essere soli.
Un puntino rosso lampeggia sulla costa algherese. A due passi da me. Un nuovo marinaio si preparerà agli oceani. Clicco. E' sardo. L'ho visto anche ieri sul giornale. Si prepara Fabrizio Carboni. Parte domani, o dopo, per i Caraibi. Un altro puntino rosso striscerà pulsando sui mari. Digitali per me, salati per lui.

martedì 28 ottobre 2008

Fainè ed eresie dentro un bus a due piani




Il salottino interno del bus a due piani era confortevole e intimo. Si stava seduti a gambe incrociate sui tappeti indiani e sopra larghi cuscini con frange agli angoli. Si conversava amabilmente fumando tabacco, sigarette con filtro o pipette variamente caricate e incollando frasi e parole in lingue francesi spagnole inglesi italiane.
Fra noi ci si capiva quasi sempre, e poco importa se spesso il significato complessivo dello stesso discorso prendeva pieghe differenti per ciascun interlocutore. Si continuava a ridere, a conversare, a raccontare di Paesi lontani, di culture diverse, delle donne in Afghanistan che spose sull'altare vedevano per la prima volta l'immagine del proprio marito riflessa dentro uno specchio.
Gli occhi taglienti e francesi di Isabel strizzavano fin quasi a scomparire mentre ci raccontava delle storie avvincenti e drammatiche che un signore di Kabul, Khaled Hosseini, ha trasferito in un libro molto noto anche in Italia "Thousand Splendid Suns"("Mille splendidi soli", ma il suo vero best seller è "Il cacciatore di aquiloni"). Intanto poltigliava fra i denti la fainè con cipolle e pepe che Cristian aveva comprato da Franco, in via Sassari.
Allungando ogni parola e dividendola spesso in sillabe, nella speranza che qualcuna assomigliasse a una delle lingue note ai miei interlocutori, provavo a spiegare che la fainè è un piatto diffuso solo in tre posti della Sardegna: Porto Torres, Sassari e Carloforte e che l'origine è genovese e che a Carloforte ce l'avevano portata i genovesi di Pegli provenienti da Tabarka.
Un miscuglio che mi pareva ottima rappresentazione in chiave gastronomica della nostra serata. Un miscuglio che mi ricordava una pagina de "Lo studio dell'uomo" dell'antropologo Ralph Linton; quella del cittadino americano che si fa la barba secondo un rito masochistico sumero, che fuma dopo pranzo secondo un'abitudine degli Indiani d'America, che legge le notizie del giorno stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti su di un materiale cinese e con procedimento inventato in Germania e che ringrazia un dio ebreo di averlo fatto americano al cento per cento...

"Ma coss a es?" interpellava Isabel.
"Schi-a-ccia-ta-di-ceci-con-a-cqu-a-e-sale" dicevo.
"Che es ceci?" faceva lei.
"Ce-ci. Ce-ce" ripetevo io arrotolando l'indice sopra il pollice per mostrarle le dimensioni del legume.
"Ah!
chiche en français" s'illuminava lei guardando Marion che aveva capito. Poi si girava verso Scott che invece non aveva capito nulla da oltre venti minuti e glielo ripeteva in inglese: "Checkpea!".
Al sentire una parola sana nella sua lingua madre Scott si produceva in un improvviso sbalzo di entusiasmo e sembrava incredibilmente felice. E allora tutti annuivamo contenti sentendoci parte di un gruppo e di un discorso unico e multietnico.
Ma a ripensarci Scott era stato davvero generoso con noi altri.
In fondo gli avevano detto semplicemente "cece".

Theo intanto suonava l'armonica e Roots seduto compito al modo dei jack russel e col muso stirato verso l'alto non poteva resistere e ululava inseguendo la nota. A quel punto però erano troppe le lingue da tradurre. Isabel e Scott chiedevano a Theo di non suonare l'armonica e Theo rispondeva qualcosa in francese alla madre e qualcosaltro in inglese al padre e il cane continuava a cantare.
Scott ha gli occhi larghi e azzurri e otto o nove peletti sulla cima della fronte altissima.
Non è che il suo essere inglese (una volta tanto il meno internazionale di tutti) lo lasciasse muto in un angolo. Undici anni in giro per il mondo a bordo di un bus a due piani con la sua famigliola non potevano di certo lasciarlo a corto di storie.
E così Scott parlava. E parlava molto.
Per farlo utilizzava ogni vocabolo o straccio di vocabolo che meglio si avvicinasse all'italiano o a ciò che a lui sembrava tale. Poi però dentro il discorso ci metteva davvero di tutto e per seguirlo al meglio bisognava piroettare senza tempo per pensarci, fra somiglianze e campi etimologici complessi.
In pratica ho capito che Kingston era stata per lui una brutta esperienza, che a Città del Messico non bisognava mostrarsi turista, che in Ladinoammerica i locali hanno difficoltà a pensare che un occidentale non abbia soldi. Certo, in un'ora di discorso era ben poco, ma mi bastava per trovare un aggancio qua e la e dire la mia ogni tanto. Lui però per spiegarsi faceva larghi giri con le braccia, allungava la bocca, sgranava gli occhi e macciullava ogni sillaba italiana o spagnola all'origine.
Continuava a ricordarmi Salvatore, l'eretico del Nome della Rosa, quello che parlava in tutte le lingue del mondo e in nessuna. E forse ai suoi occhi assomigliavo a Salvatore anche io.


domenica 26 ottobre 2008

Blog in soffitta

A dieci anni avevo un'amica di carta che si chiamava Kitty. Prima di me l'amica di Kitty si chiamava Anna Frank che aveva tre anni in più di me ed era anche un'amica mia perchè l'avevo letta e riletta nel corso della quinta elementare e durante l'estate successiva. Allora con mamma e babbo ci si trasferiva nella casa al mare e la mia cameretta senza porta aveva il tetto basso e la finestra attaccata al pavimento.
Come Anna Frank anche io vivevo in una soffitta, ma la mia si affacciava sul porticciolo e non c'erano guerre nè persecuzioni. Come lei anche io confidavo a un amica di carta, alla stessa amica, i miei piccoli segreti.
Uno dei segreti di Anna, il più importante di tutti, era la sua stessa esistenza nonostante il volere dei tedeschi.Per il resto aveva tanti altri piccoli segreti, molto simili ai miei. Così Anna diventò un'amica cara e nel giro veloce di un'estate, quella del 1986, anche Kitty entrò a far parte delle mie amiche del cuore.