venerdì 28 novembre 2008

Passione all'inferno

Ecco ora va meglio. Ho trovato la musica che cercavo e l'ho trovata grazie a un'amica che non conosco ma che avevo tanta voglia di ritrovare. Un piccola magia che nemmeno so come sia possibile. Prima Madeleine Peyroux poi la mia Billie che però non trovavo più, e così ora scrivo perchè quello mi mancava. Anche se ho scritto tutto il giorno. Anche se dentro la macchina a consumare chilometri e distanze brevi, segmentate e tutte per direzioni diverse, pensavo a cosa scrivere, a come farlo. Tutte scritture diverse. Per indirizzi diversi. Ma infine è questa la stanza che preferisco.
A breve glisserò sotto le coperte a passare la matita sopra le righe delle cose che Seneca diceva a Lucilio. E una riga di qualche sera fa mi tornava anche sopra le confessioni di un amico. E io le sottolineavo con la matita della mente mentre gli davo un passaggio a lavoro. "Passione è una parola che non mi piace. Perchè vuol dire due cose diverse. Poi sta a chi ti ascolta capire davvero". Ed io ricordavo che passione è ciò che uno soffre senza la sua volontà. E poi il pensiero si sottoponeva allo sguardo e mentre me ne tornavo a casa passando fra i ruderi di un villaggio industriale senza padroni non c'era niente che mi facesse male e le strade si componevano sotto i pneumatici ed erano un'intelaiatura molto semplice e banale ed era come se la guardassi dall'alto. Prima la porta dell'inferno, grande e a forma di cancello, che parevano denti sottili e separati, come la bocca del clown di It. Ed era l'industria. Poi la porta del paradiso dove dentro dormivano gli antichi romani e le loro colonne di pietra e i pavimenti a mosaico dove un tempo poggiarono le piante dei piedi. Ed era il museo che s'affaccia sull'area archeologica. Infine la porta del purgatorio, quel luogo nel quale bene o male tutti quanti scegliamo di abitare, per non sentirci nè troppo morti, nè troppo vivi e per semplificare le cose. Dove il sentimento non ci affoga e noi si riesce a dire due cose a chi si incontra per strada senza metterci per forza tutta l'anima. Anzi senza metterci proprio un bel niente. Ed era il palazzo del comune. Passione, dolore che non vuoi. Male che non puoi. La difesa è il purgatorio. Senza passione nella piazza del comune, nella vita comune, nel modo comune di stare. Ma Lucilio aveva appreso cose diverse grazie al suo amico. E sapeva qualcosa che in purgatorio non si sa. E cioè che si può essere bravi a non farsi far male dal male. Ma senza perderselo. Senza perdersi la passione. Apatheia non è impatentia. Invulnerabile è il paradiso, insofferente alla sofferenza il purgatorio.
Il mio amico lavorava all'inferno quella notte avvolto dal pensiero di aver perso il paradiso. Ma il suo animo sa vincere la contrarietà. E per vincerla ha solo bisogno di tempo.

martedì 25 novembre 2008

Il cucciolo è morto



Mi stavo chiedendo: è possibile dare un buco a me stessa? Non farmi un buco, no, ma darmi un buco, ciò che tutti i giornalisti che conosco e anche quelli che non conosco vorrebbero dare ai loro colleghi. Ecco si, è possibile. Lo sto appena facendo. E questo succede evidentemente perchè dare un buco, giornalisticamente parlando, è sempre una cosa molto eccitante. Anche se ciò comporta che il buco te lo dai tu stesso. Sinceramente non mi era mai capitato. Beh, di dare un buco agli altri si, qualche volta non posso che ammetterlo. E anche di prenderlo. Ma a me stessa...a me stessa non è di certo un'esperienza che elenco nella contabilità della mia breve esistenza giornalistica. Ok, lo so, questa cosa è un pò ridicola. Ma l'ho chiesto pure al mio collega e lui ha detto che stando così le cose e volendo proprio impegnarcisi, tecnicamente è possibile. "Solo - ha aggiunto - dattelo stasera, non subito". E così io ho aspettato. Fino ad ora. Ma poi non ce l'ho fatta più. Ed eccomi. E devo dire che ancora non ne sono convinta perchè l'argomento è un pò delicato e non c'è in fondo un granchè da ridere. Anzi. Qualcuno piangerà e mi dispiace seriamente. Ma l'annuncio di oggi lo merita. Mentre Soru si dimette (e il Corriere lo ribattezza Antonello) c'è un'altra di quelle cronache infauste che qualcuno fra i lettori delle pagine dei quotidiani locali non avrà voglia di leggere fino in fondo liquindandola come "solita notizia". Altri leggeranno per automatismo, altri ancora ignoreranno senza pietà. Forse che la notizia nella pagina accanto potrà offrire loro maggior svago. Fra quelli interessati invece ci saranno gli affranti e i gioiosi, gli increduli e gli ottimisti. Ma è così. Storica nel suo piccolo la notizia è che il petrolchimico di Porto Torres chiude, o si ferma come preferiscono dire alla Polimeri. Cosa avrebbe detto Rovelli? Il petrolchimico è morto direbbe la voce fuori campo di un documentario del bouquet sky, mentre passano cuccioli di langusta inquinata con i guanti da metalmeccanico al posto delle chele. Ma certo, per correttezza avremmo dovuto titolare Il petrolchimico si ferma, ma non vi preoccupata gente, si riparte da febbraio! No. L'avrei sconsigliato anche alle girls del giornalino dell'Azuni di fare un titolo così. Oppure avremmo potuto scrivere che niente è perduto a parte il paradiso di un tempo. Dai, ragazzi, il petrolchimico è morto, si torna a fare il bagno a Minciaredda. Con Gavino Sale e le orate al pcb. Macchè. Non c'è un modo buono o cattivo per parlare della lenta dismissione di questa striscia di sabbia accanto alla quale muoriamo e nasciamo ogni giorno. Non c'è un verso giusto. Il sindacalista potrà agitarsi. Il politico potrà sciorinare pozioni. Il lavoratore potrà piangere. L'ambientalista potrà cercare il costume da bagno e scendere in spiaggia. Il documentarista girerà un documentario dicendo: è morto. Ma il cadavere non sarà rimosso. E morto non servirà a un granchè. Una lingua di sabbia è stata tinta di rosso. Per niente, dunque.
Ora chiudo, se no scatta la mezzanotte e non è più un buco.
Ciao Renato.

lunedì 24 novembre 2008

Vento che brucia

Sabato è affondata una barca a vela nel porto di Porto Torres. Un vento a 40 nodi costanti, raffiche a 50, ne ha strappato gli ormeggi scaraventando il suo marinaio in acqua dov'è rimasto a gelare per un pò. Poi gli scogli e la falla. Io piangevo per il mio giardino bruciato, dopo mesi di lavoro. Per il mango, il mio dolce mango fiorito fino a pochi giorni fa, così cresciuto, così intraprendente. Pure i lombrichi lunghi mezzo metro Cri ci aveva messo. E le mie gambe che tremavano, ma ero contenta. Tutto bruciato. L'ipomea, la mandevillea, il solanum bellissimo. Tutto andato, a parte le piante grasse. Una tristezza che ti spiaccica sulla sedia e ti lascia vuota. Senza pollici. E ancora non voglio guardare fuori dalla finestra. Appena calma ci metterò la rete. Ma avrei dovuto farlo prima. Il vento infuocato di sale ha bruciato ogni cosa cogliendoci alla sprovvista. Il giardino e la barca.
Ma resistere a una barca che muore, no, è davvero troppo.

sabato 22 novembre 2008

Fogne e pasticcini (per giornalisti) e della volontà di carriera



A marzo scorso la pensavo così (vedi giù), oggi che mi godo questo vento a 40 nodi su un mare in burrasca da dietro la finestra e quasi quasi vorrei essere sopra Zinzura a provare l'emozione di uno sbandamento pericoloso, non lo so più. Oggi vedo sul giornale un mio pezzo non firmato. Cose d'altri tempi, quando mi arrabbattavo ogni volta che c'erano imprecisioni in pagina come questa. Non è che sia grave e devo dire che la cosa in fondo non mi ha infastidito troppo: il pezzo è piccoletto e nemmeno un granchè, magari mi hanno fatto pure un favore. Ma più precisamente credo si sia trattato di una distrazione, un fatto dovuto al troppo lavoro da redattori, alle mille telefonate e ai mille cambi di programma ogni dieci minuti. Conosco la vicenda, l'ho vissuta personalmente per mesi quando vivevo in redazione a Cagliari. In realtà non invidio chi ci si trova in mezzo. qualcosa manca, certo, ma non sono certa sia una redazione. forse di più una barca. Dare e costruire notizie è davvero un bel mestiere, ma ci vuole un tempo per tutto. Un mio amico giornalista ha pensato qualche volta di mollare, ha pensato "cazzo la vita è fuori"; certo poi lo stipendio mensile fa ricredere tutti e direi, a ragione. Una mia amica collaboratrice s'è stancata è ha mollato del tutto, dopo due anni di scuola per giornalisti a settemila euro e due anni di collaborazione intensissima col giornale, e non prima di aver scritto al presidente nazionale della stampa una lunga lettera da collaboratrice "fregata".
In fondo non credo di aver costruito la mia incertezza professionale per niente. L'incertezza può portare a nuove strategie. Grande Robe. dice che non ha rimpianti.
Pubblico qua i miei pensieri di allora che inviai a un amico, perchè le cose di oggi mi ricordano quelle di ieri ma la visione è un'altra. In fondo... meglio free che off. Rispetto ad allora posso solo dire che una telefonata in più evidentemente mi pesava troppo, perchè cominciano ad essere tante se le guardi in bolletta e in pazienza dalla prima all'ultima, partendo dal 2004.

marzo 2008
quando sarà, un giorno o l'altro, la risposta arriverà chiara e tagliente. appositamente affilata nel tempo per essere ancora più maledetta e dolorosa. mi dirò da sola di aver provocato volontariamente la mia incertezza nella costruzione di un'identità professionale. mi dirò di non averci creduto abbastanza. mi dirò che avrei dovuto insistere quel giorno. che cinque telefonate consecutive in una mattinata in cerca di un neo direttore al quale ogni volta devi ricordare chi sei e la sensazione crescente di disagio persino con la centralinista neofita che niente sa di te e che come si permette lei a non sapere il tuo nome, un nome lungo ma che in 4 anni tutti avevano imparato benissimo. Beh quelle cinque telefonate non bastavano. cinque telefonate sono poche se confrontate con la volontà di carriera. cinque misere telefonate... che costava farne una in più? cosa costava fare un viaggio in più dopo avere atteso un anno, quattro anni? dopo aver percorso duemilacento chilometri su e giù per l'isola. dopo aver sperato e corso. aspettato e creduto.
sarò io la prima a dirmi di non averci creduto. sarò la prima a ricordarmi di aver temuto, in un istante in cui il destino sembrava quasi segnato, di perdere la mia libertà e la spontaneità in cambio di uno stipendio mensile fisso e di orari assassini. e sopratutto sarò io la prima a ricordarmi che in fondo, di fare la giornalista non dovevo essere così certa. specie perchè cercando nel dna questa propensione non sono certa di averla mai trovata.
eppure una insistente sensazione di ingiustizia mi ha colto per mesi con impertinenza. mi ha svegliato nei sogni, ritardato la catarsi, agitato gli umori, incrementato l'incertezza. I soliti 4 anni che si fa in fretta a dire 4: che però sono 4 anni di notizie, di telefonate, di contatti, di interviste, di responsabilità e ansie non indifferenti per un temperamento debole e robusto come il mio. Accidenti quanto tempo. Accidenti quante cose fatte. E perché mai, a ripensarci, non sono bastati questi 4 anni a dimostrare che a crederci nel progetto io c'ero tutta? Forse che altri, oggi ben pagati e con una solida (sigh!) identità di giornalista, almeno per quella che un rigido e timbrato tesserino professionale riconosce loro, hanno dimostrato con maggior forza e intensità di quanto abbia fatto io, di crederci?
O cos'è piuttosto questa? la sfiga del collaboratore? di quello che non era nel posto giusto al momento giusto e che sopratutto non aveva il lasciapassare giusto col direttore o l'editore del momento, per evitare di doverci credere così tanto in seguito?... Allora registro che c'è qualcuno che finisce dentro il progetto di altri senza dover necessariamente dimostrare di crederci con tutte le forze, e qualcunaltro che invece per entrare nel progetto deve sbucciarsi le ginocchia, perdere i capelli, giurare fedeltà, anche se questo può costare mancati stipendi per 4 anni e sudore, ansia, tanta ansia. Ecco. A me veniva richiesto di crederci. Ad altri no, ma questo non conta più. C'è chi ha avuto la vita facile, ma non a tutti è concesso lo stesso destino. Salvo chiedersi a un certo punto "perché mai il mio è sempre quello più sfigato?".
E in fondo devo dire che preferisco sentirmi colpevole, almeno so di avere qualcosa da migliorare, piuttosto che vittima. Che ci faccio con la consapevolezza di essere stata fregata? Non avrò mai modo di vendicarmi, né alla fine ciò mi porterebbe a vera soddisfazione. Inoltre rimandando tutto alla solita storia degli incozzati, già si diventa obsoleti. Non fai notizia. Sei uguale al poveraccio che vive in una casa in cui lo Iacp o chi per lui ha dimenticato di aggiustare le fogne. Vivi fra gli insetti e il fatto di doverli cacciare in continuazione, anche d'inverno, quando altri d'inverno pensano a sorseggiare un buon te con pasticcini, seduti a piedi scalzi sopra una sedia girevole di una redazione che a tutto pensa, tranne alla notizia. Il fatto che tu non abbia tempo da dedicare a questa pratica è solo un problema tuo. Non basta più la scusa delle fogne e dello Iacp per non aver trovato lo spazio di un buon te con pasticcini. Non basta essere collaboratore per spiegare al mondo il motivo per cui non fai il giornalista professionista. La solita scusa, diranno coloro annoiati dalle lamentele.
Le lamentele annoiano. Non ce n'è un tipo, per legittimo che possa essere, da cui non si tragga un'infinita noia all'ascolto. Delle lamentele si soddisfano soltanto i giornalisti quando sanno che serviranno per condire un pezzo da presentare sul giornale. Punto.
Così si muore dello stesso male che ha afflitto i tuoi interlocutori ogni volta che hai scritto di qualcuno lasciato senza stipendio, senz'acqua, senza fogne funzionanti. I primi a non scrivere delle proprie fogne sono i giornalisti: le loro vicissitudini annoierebbero: saperlo aiuta anche se frustra.
Dunque niente lamentele. Sarò io la colpevole. Non ho dimostrato di crederci. Il fastidio nei confronti di chi non ha dovuto dimostrare proprio un bel niente mi ha girato le palle a elica, ma è inutile considerazione delle cose che sono. Che sono e basta.

mercoledì 19 novembre 2008

La volpe, l'uva e il gioco della curiosità




Fatte foto per la Botte e il Cilindro.
Ieri mattina il Ferroviario pullulava di bimbetti della scuola elementare con le felpine e le scarpette da tennis, i giubbottini e la pellicetta sul bordo del cappuccio, le codette e i capelli a spazzola, i sorrisi smaglianti, le scintille d'entusiasmo improvviso e all'apparenza immotivate e Simone che grida alla maestra "Maè, io qui ci sono già venuto una volta, quando c'ero venuto", e le maestre a scherzare anche loro in preda a una volatile frivolezza da signore in gita.
Quanto sbaraglio mentre passo col cavalletto della macchina fotografica, non di certo un manfrotto, in mezzo allo sciame di cappellini e frangette in agitazione. Oltre il portone verde in ferro i camerini sono immersi nella calma.

Di scena tutti gli animali delle storie di Esopo. Il lupo, l'agnello, il topo di campagna e il topo di città, la volpe e la cornacchia e le facce indescrivibili di Luisella e Nadia e Stefano a far ridere la sala dal più grandetto sino all'ultimo primino.

Prova a invitare una platea di studenti delle superiori, alla fine di uno spettacolo teatrale, a fare qualche domanda: dopo un primo tentativo andato miseramente a vuoto s'alzeranno due, forse tre manine intirizzite.
Prova a farlo con un centinaio di ragazzini e ragazzine delle medie. Le mani interventiste potranno arrivare a sei, sette, esagerando dieci.
Ma tu prova a chiedere di formulare una domanda sullo spetatcolo a una platea di bimbetti fra i cinqueemezzo e i dieci anni: alzeranno tutti la mano, ma proprio tutti, anche chi non ha un cazzo da chiedere, l'importante è partecipare. Simone e Massimiliano dal mixer avranno difficoltà a vedere i loro amici sul palco, e il video di Consuelo sembrerà girato durante un concerto dei pink floyd.
Una bimbetta se ne sta col braccino sospeso per aria da venti minuti quando il dito di Luisella dal palco la sceglie fra tutti i compagnetti, e come da un sonno ipnotico la bimbetta si ritrova sveglia in teatro col braccio alzato e senza alcuna domanda da porre.

Finchè siamo piccoli pensiamo di avere mille cose da chiedere e non ci facciamo troppi scrupoli. Col tempo però può capitare di imparare a non mettere più in gioco la nostra sana curiosità.
E abbassiamo la mano.

lunedì 17 novembre 2008

E.On diventa E.Off. Carbonari contro il carbone in azione




Attenzione. La centrale energivora sita in Fiume Santo (Porto Torres) E.On, LA SCORSA NOTTE HA CAMBIATO NOME. QUALCUNO L'HA SPENTA!!
E.off project, questo è il nome degli attivisti che hanno preparato il cartellone alternativo per installarlo al posto di quello vero durante la scorsa notte. Si definiscono "carbonari contro il carbone": la loro protesta contro il colosso tedesco è creativa quanto sottile, "un atto semplice ma devastante" per dirla con le loro parole. Scrivono: "e.off è l’indignazione che copia – e ricopre – la faccia colorata della speculazione a danno dell’ambiente e della salute".

La E.On ha preso, dal luglio di quest'anno, il posto della spagnola Endesa nella guida della centrale termoelettrica che sorge in territorio sassarese, a due passi dalla cittadina turritana. La centrale è in grado di produrre 960 megawatt (fra i gruppi 3 e 4 che marciano a carbone e l'1 e il 2 per ora ancora predisposti per bruciare olio combustibile. Lo scorso 19 ottobre è stata presa d'assalto, in un clamore ovvio visti i mezzi usati, dalla nave e dai gommoni di Green Peace. Dopo 14 ore di occupazione gli ambientalisti avevano mollato gli ormeggi soltanto quando l’assessore regionale all’Ambiente, Cicito Morittu e il sindaco di Porto Torres Luciano Mura, hanno accettato di firmare un documento col quale si impegnano «ad allineare il Piano energetico della Sardegna al rispetto dei parametri europei, con l’obiettivo di superare entro il 2012 la percentuale del venti per cento di produzione da energie rinnovabili».
Ma è chiaro che nelle menti di qualcuno ha continuato a circolare il germe della protesta e della rivalsa.

Pubblico qui di seguito il comunicato diffuso da E.Off project:

e.off

bruciare energia

per produrre coscienza



e.on Italia è uno dei principali operatori del settore dell'energia in Italia. Appartiene al gruppo e.on, il più grande gruppo energetico a capitale completamente privato al mondo. e.off, invece, è la nostra risposta al tentativo di anestetizzare l’opinione pubblica. La Regione Sardegna, infatti, non solo si è resa complice dell’ennesimo crimine ambientale, ma ha anche cercato di mettere la museruola alla voce della protesta, al dissenso popolare.

e.off è l’indignazione che copia – e ricopre – la faccia colorata della speculazione a danno dell’ambiente e della salute. e.off nascondendo evidenzia il lucro condiviso dal pubblico e dal privato. e.off è un atto semplice, ma devastante. È la denuncia di chi non ha diritto di replica. È il simbolo del mutamento possibile. È l’unica speranza di sopravvivenza: se il gesto si fa collettivo, e la responsabilità diventa universale.
e.off è marketing al negativo. Un marchio che cela l’infamia sotto lo sberleffo. Forse sono già arrivati e hanno nascosto la vergogna, come si fa con la cenere sotto il tappeto. Ma abbiamo scoperto la loro vulnerabilità. Sono invincibili solo se ci lasciamo cullare nell’inerzia. Però noi siamo cervello e gambe, intelligenza e sdegno. Saremo sempre lì. Adesso lo sanno anche loro. È questa, la prima vittoria.
Noi, vittime della censura e dell’inquinamento; noi, braccati dalla disoccupazione e dalla colonizzazione industriale; noi, che per reclamare dignità siamo costretti ad agire abusivamente, nel segreto della notte; noi, Carbonari contro il carbone!

domenica 16 novembre 2008

Bando della matassa

bando della matassa
qual'è?
è una matassa
quasi mi ripugna scriverlo
ma ho scoperto
che s'impreca per esserci
che il desiderio complica
che lo sforzo libera
che l'alterigia è goffa
che la dolcezza pure a seconda dei casi e i casi sono due
che si può avere un dentiera ricostruita
che nel sogno si scorda la matassa e di giorno non si trova il bando

sabato 15 novembre 2008

Eni lascia. Porto Torres s'ammoscia. Crisi di un territorio

A parte che stamattina me ne sarei rimasta davanti al pc a farmi le cose mie riparata dal novembre infimo sotto la copertina rossa. A parte che un sacco di gente ha pensato la stessa cosa però al contrario mio non l'ha disattesa. A parte che i miei colleghi a quest'ora staranno arrabbattandosi per individuare una notizia dal taccuino da mettere in attacco del pezzo.
Ma tant'è. I fatti son questi. La stazione marittima di Porto Torres contava poco più di un centinaio di presenze stamattina. Erano quasi interamente operai del petrolchimico, in sciopero da 15 giorni. Al tavolo degli imputati, no scusate, dei politici, fra tutti un cardigan nero nascondeva il corpicino smilzo dell'assessore regionale all'industria Concetta Rau. Accanto il corpicione del sindaco turritano Luciano Mura apriva i lavori inviando, senza tanti giri di parole, indignazione e sgomento all'indirizzo Eni e al governo.
"A tutti i cittadini - recita il volantino che mi aveva consegnato Gianni poco prima - l'economia della provincia di Sassari sta per..MORIRE!!!!!". A guardare la sala e poi di nuovo il volantino veniva da pensare che la città non rispondeva, nè aveva fatto caso, a nessun appello in nome di questa dismissione petrolchimica. "Invitiamo - continua il comunicato - tutta la popolazione a mobilitarsi e a sostenere le inziative che i sindacati e i lavoratori intraprenderanno nei prossimi giorni per dire no alla chiusura dello stabilimento petrolchimico di Porto Torres e alla morte dell'intera economia della provincia di Sassari". C'è anche da dire che di comunicati simili negli anni ne ho letto a decine e molti, come raccontavo a Samuele, non sono riuscita nemmeno a buttarli via e li tengo ancora conservati nelle apposite cartellette della scrivania da cui scrivo.

Ebbene si. Eni. Questa piccola grande multinazionale della chimica nonchè contrallata statale, ha così annunciato di lasciarci. A fine ottobre già ventilava la fermata per un anno degli impianti portotorresi del fenolo e del cumene. Il 31 ottobre la decisione. Gli impianti strategici e appena riammodernati del comparto petrolchimico di Porto Torres si fermano signori, ma perchè non è dato ancora saperlo.
Sindacati e lavoratori denunciano che questa decisione avviene nel preciso e delicato momento in cui la Ineos si preparava a vendere all'imprenditore Sartor gli impianti di pvc turritani, altro passaggio fondamentale per il recupero della produzione industriale sarda. Sartor, visto il tempestivo blocco di Eni avrà pensato bene e detto con parole sue qualcosa tipo: "Uè, sò mica matto, per ora non compro un bel niente". E oggi siamo a un punto fermo con gli operai che bloccano le navi trasportatrici di combustibili, in attesa di scoprire se 200 di loro dovranno trovarsi una nuova occupazione nelle prossime settimane. E' chiaro che la storia è molto più lunga e complicata di così. Quando ho cominciato a scrivere per il giornale di Sardegna nel 2004 le cose non è che fossero messe molto meglio. E quell'accordo di programma sulla chimica firmato nel 2003 non si è dimostrato lo strumento efficace per evitare la dismissione. Come ricordava stamattina Franco Apeddu, ex direttore di stabilimento alla Ineos, nemmeno l'intesa siglata fra Regione e Endesa nel 2007 per la fornitura di energia elettrica a basso costo per le imprese, ha avuto l'esito che tutti si attendevano.
Oggi tutti accusano il governo di non aver insistito con Eni a fare precise dichiarazioni sugli impianti di punta sui quali tempo prima la multinazionale aveva annunciato di voler investire.
Tutti accusano Eni - con un fatturato di 10 miliardi di euro nel 2007 e il 73 per cento degli utili nell'ultimo trimestre - di andarsene da Porto Torres, col nome di Polimeri Europa, quattro anni prima degli accordi previsti e lasciando fango e desolazione fra gli impianti di quello che i sindacalisti continuano a definire uno dei più grandi stabilimenti d'Italia.
Del resto ci sarebbe da pensare che forse per Eni, che saprà esattamente quali calcoli fare per star bene, questo stabilimento non è così importante.
Eppure, lo diceva Luciano Mura, "per anni l'Eni in questo territorio, se mi permettete, ha scorrazzato". Le condizioni ambientali e il tasso d'incidenza tumorale che colpisce questa zona ce lo raccontano ampiamente. E nonostante le dichiarazioni di Apeddu ("Le bonifiche sono in corso da anni (...) Cinque milioni di metri cubi di acqua della falda inquinata sono stati ripuliti (...)La barriera idraulica funziona (...) Il mare, anche a Minciaredda è pulito (...) A maggio e novembre del 2006 i pesci, inquinati da pcb - e non da diossine - erano meno inquinati di quelli analizzati nel golfo di Olbia")la questione inquinamento continua a rappresentare una dura minaccia per il territorio. Immagino che i cittadini pensino anche a questo quando decidono (se lo decidono) di non rispondere all'appello degli operai.
Oggi proprio quell'emergenza bonifiche impedisce al ministero dell'ambiente di dare il proprio benestare alla ripresa dell'economia petrolchimica in suolo turritano. E hai voglia di ripetere al direttore del ministero, dottor Mascazzini, che il muro antinquinamento non serve o non è l'urgenza primaria. Quel muro, come per Assemini, s'ha da fare ribatte lui a suon di ordinanze. Mentre la priorità per tutti i presenti stamani sono ben altre. La voce grossa della Rau le ribadiva: "Il settore chimico è strategico a livello nazionale: l'industria può esistere anche rispettando l'ambiente". In sostanza tra le sedie ghiacciate della stazione marittima si legittimava un principio vecchio quanto efficace in tempi difficili: non si butta via niente. Turismo, nautica, industria: tutto compatibile, secondo i nostri rappresentanti. Basta volerlo. E che il governo, l'Eni, e i pesci del golfo siano con noi.

mercoledì 12 novembre 2008

Precari senza vela



Lunedì ho raccolto olive. Martedì ho portato un aspirante comandante a fare gli ormeggi in porto. Oggi preparerò la lezione del laboratorio di giornalismo. Domani metterò altra terra in giardino. Venerdì ho la lezione al classico. Sabato lavo le scale di casa. Forse.
Però la mia testa macina di poter, un giorno di un novembre qualunque, volare sino a Las Palmas (Gran Canarie) e cercare un imbarco free per la grande attraversata che proprio in questi giorni attende sui moli e completa gli equipaggi. Se voi adesso potete e volete perchè non avete impegni con lezioni al liceo classico, olive da raccogliere, un giardino da sistemare, scale da lavare (e altre sciocchezze da vita precaria e quotidiana) cacchio! ma cosa state aspettando?? andate qui http://www.turismodecanarias.com/it/ahora-en-canarias/2008/11/17/arc---regata-transoceanica.
Io, se non sarò occupata con la mia precarietà, ci sarò il prossimo anno;-)

domenica 9 novembre 2008

L'alieno Soru. O della (e)lezione di Obama







Renato Soru è nei blog di alcuni dopo che la maestra unica Daria Bignardi lo ha chiamato alla lavagna delle Invasioni barbariche venerdì scorso. Luca de Biase lo ha nominato spesso nei suoi post, ma sono in molti ad osservarlo con curiosità. Non riconoscono in lui il tipico uomo politico del nostro tempo italiano e per questo ne sono attratti. Colpiti dall'antimediaticità che lo contrappone agli showman/girls suoi colleghi, sembrano scovare in lui un nuovo tipo, un leader diverso, carismatico ma con altri attributi. Fra coloro che hanno sentito qualche volta, qua e là, parlare di questo magnate buono, imprenditore tecnologico e rappresentante politico sui generis - gli stessi che hanno applaudito in cuor loro alla rivoluzione politica e culturale delle elezioni americane - sembra circolare un germe che stuzzica la fantasia, mietitore di una nuova strana sensazione: quella che conduce dritta dritta all'idea che una via nuova alla rappresentanza e alla conduzione politica del nostro Paese sia un dovere urgente e un diritto concreto.
Il valore che il nero di Obama rappresenta per l'America ha bisogno di una declinazione in termini italiani.
Se davvero emanciparsi rappresenta una necessità anche per l'Italia.
E se la politica aggressiva, xenofoba e conservatrice di Bush è ciò di quanto più urgente occorreva cambiare negli Stati Uniti, in Italia la necessità forse più grande - scontata ma reale quant'è vero che abbiamo bisogno di aria per respirare - in politica come negli altri settori, sembra essere rappresentata dall'onestà e dalla serietà.
Per questo sorrido non senza riserve, ma anche con grande interesse, ai commenti dei blogger che nei loro post hanno linkato l'intervista di Soru chiedendosi sbigottiti: "Chi è questo alieno che davanti alle domande giornalisticamente naif della Bignardi sembra sempre sul punto di restare senza parole. E che poi però le dice di santa ragione?? Chi è quest'uomo che non sembra aver bisogno necessariamente di passare per il linguaggio degli anchorman per esprimere, in tv ma in qualunque altra circostanza, cosa significa e quali sono le priorità del fare politica?".
Questo germe mi sembra buono da prendere e riproporre . Chiederci concretamente di cosa abbiamo bisogno per migliorare e crescere oggi, ovvero - per dirla con Massimo Gramellini - scoprire qual'è il talento piccolo o grande che sia, che si nasconde dentro le nostre individualità o dentro le nostre nazioni, mi sembra il miglior virus nel quale si possa incappare.

sabato 8 novembre 2008

Incidente al molo di Porto Torres




Sono decine le barchette che la notte popolano l'ingresso del porto di Porto Torres, in attesa di portare a casa un bottino di pesce. Spesso senza regola. Spesso a luci spente. E sembra che proprio per evitare la collisione con una di queste imbarcazioni uno dei barcaioli ieri notte in servizio è finito sopra gli scogli rischiando la vita.
Intorno alle 22.30, mare calmo, visibilità discreta. L'uomo, un' esperto pilota, stava rientrando in porto dopo aver accompagnato alcune persone dell'equipaggio di una delle petroliere ferme davanti alla costa turritana. Improvvisamente si è reso conto che la sua rotta era in collisione con un'altra barca non lontano dall'ingresso del molo. Virando bruscamente per evitare lo scontro ha preso però in pieno la scogliera fratturandosi tre costole e procurandosi un trauma cranico e ferite alla bocca. Questa mattina le operazioni di recupero dell'imbarcazione.

venerdì 7 novembre 2008

Italiani impossibili

Lo slogan "Siamo tutti americani" che si recitava all'indomani delle torri non mi ha mai corteggiato.
Oggi però che vedo un uomo "abbronzato" alla presidenza degli Usa e uno decalvizzato alla guida dell'Italia (ma anche senza di lui mi sarebbe bastato un Gasparri qualunque), mi verrebbe uno slogan nuovo, per quanto del tutto scontato, da lanciare al mondo.
"Italiani si nasce. Per fortuna vostra".
....sigh...

mercoledì 5 novembre 2008

Canestri e candeline

Giornata piena ieri. Per poco diventava piena di iconcine feisbuchiane beneauguranti. E invece ZAC! c'ho zaccato di mezzo mamma e il suo pandispagna con tre candeline sopra, in segno dei miei trentatrèanni. "33??!!" Gli occhi di babbo mi dicevano che c'era un'errore, che la tortaia s'era confusa di un anno. "Ah! mi sembrava!" E ne tiravo via una candelina dal pandispagna.
Quando tornavo lungo la provinciale era già buio. E pioggia pure. E il pc l'ho visto solo di striscio.
E mentre aspiravo una biretta, a chiacchierare sotto la tenda del bar di musica dispersa e cani scappati, c'è Obama a Chicago che gioca a basket per scaricare i nervi in attesa dello scrutinio e di mille simili pettegolezzi. Sua nonna non c'è più e mi dispiace umanamente . Penso: chi gli preparerà un pandispagna con tre candeline, ognuna per uno dei trecento grandi elettori che sogna ad ogni canestro e che lo mette in agonìa ogni volta che la sfera arancione guizza di lato dopo un inutile girotondo sul cesto? Sto sicuramente meglio io di lui penso.

Ti immagini quest'uomo nero coi calzoncini nike e la maglia dei Chicago Bulls tutto sudato a sfogare tossine e canestri davanti alle guardie del corpo a bordo campo con gli occhiali scuri e i walkie-talkie in mano.
E suda e suda e suda Obama. S'è quasi scolorito. Adesso assomiglia a McCain.
Non si può dire non si sia sbattuto anche per oggi.
Ma diciamo che, visto come sono andate le cose stanotte, da fare ne avrà per parecchio tempo.
A me oggi non resta che un pezzo di pandispagna. A lui un America intera.


lunedì 3 novembre 2008

All'improvviso uno sconosciuto

Su una cosa non ho dubbi: che la curiosità può mangiarci vivi.
E tu? e tu come stai?che fai adesso?dove sei con chi stai che lavoro fai sei felice hai cambiato ragazza???sei sposato!!hai due figli!! tornerai? e non vieni mai qui?
L'uomo maturo torna sempre alla casa, vuole sapere se il posto che ha lasciato tanto tempo fa continuerà a fargli la stessa impressione di prima che partisse.
L'uomo torna come un cagnolino cui una mano ha lanciato il legnetto.
Lo poggerà in terra arrestando il passo. S'incanterà dinanzi alla scala mobile della stazione per rivedere se stesso inserire cinquecento lire dentro una macchina del caffè a due piani col quotidiano sotto al braccio. Cercherà il sole del primo pomeriggio negli inverni di allora, sulle rotonde parcheggiato con l'auto, il quotidiano in grembo e una sigaretta fra le dita. Ritroverà gli amici delle vecchie compagnie e vorrà sapere di loro e delle nuove occupazioni che ne fanno persone diverse. Io, se tornassi a Roma, ci tornerei così. E se tornassi in Sicilia. E se tornassi a Milano.
A volte ci penseremo amici perchè
eravamo amici, diceva Meneghello nel 1963, a proposito delle vecchie compagnie.
Ma l'uomo contemporaneo ha nuovi strumenti per tornare al passato. E se per farlo usasse il facebook (si, ancora lui!), cliccando Confirm si ritroverebbe catapultato
in media res, dentro la pagina di un vecchio amico; in pratica nel bel mezzo della vita di uno sconosciuto. E senza capirci granchè.