giovedì 20 agosto 2009

Riporto


Ecco. Un'altra barca ancora. E' un continuo approdare da mirare senza fretta per noi che da due giorni abbiamo rapito un corpo morto dal fondale per farne casa. Il resto è l'arrivare degli altri. Quasi sembra di avere confidenza. Un luogo passeggero cui appartenere un po' di più degli altri. So qual'è il miglior fruttivendolo del centro storico e pur non facendone uso, quale il miglior macellaio: Luce, che mi presterà per quindici giorni una bicicletta, me l'ha garantito.
Un suonatore di darbuka lo troveremo. Ne abbiamo scoperto qualcuno spalancarci finestre di sogno e svegliarci dal troppo raki che a me pareva tanto reinsaporirmi di marsigliesi e compagne fidate in pomeriggi cagliaritani.
Mi fanno cenno dalla banchina. Ho un amico che comunica per versi complessi e grammatiche squilibrate. Sulla terrazza di un bar di Marmaris non so cosa sia la Turchia e percepisco un caldo invadente che palpita sullo sterno.
Ricordo tutti gli amici, non ho preferenze, tranne che nel momento preciso in cui la testa si poggia su uno o sull'altro viso. Ci sono centinaia di alberi maestri appesi come stecche di shangay contrapposte al cielo di un leggero violetto. E fra i vari c'è il nostro. A sventolare col guidone rosso in testa.
Non so cosa stessero dicendomi dal fondo. Belle notizie? Mezzaluna ha forse riattraversato la passerella e adesso dorme arrotolata, nera e pelosa al giardinetto di dritta, fra la manichetta e il cavo blu dell'ormeggio?
Il mare ci ha riportati alla linea d'arresto. Superata con bordi di bolina abbiamo stappato champagne con bolle larghe, dicono non dei migliori.
Di tutti i luoghi tornerei al sarcofago bizantino, non per morirci ma per restare fra scogli e geranei a guardare l'acqua marina immaginandola prato terrestre come mille anni fa. Ripasserei con Amedhye sulla cima del castello a scegliere fazzoletti e foulard che a casa non tornerò a indossare. Resterei a guardare la testa del molo mentre donne attrezzate di braccia larghe e danzanti e gonne al vento richiamano naviganti perchè la notte sia consumata nell'impalpabile silenzio del porticciolo cui appartengono per razza e generazione.
Non hanno magie da regalare fatta eccezione per una cucina di pesce e verdure e brevi terrazze di legno da cui affacciarsi tra fiori e rari avventori.
Avanza un territorio ignoto agli angoli degli approdi cui stiamo aggrappati.
Ogni altro affare non è affar nostro.
Io insisterei e non è detto che non l'abbia vinta prima o poi su ciò che mi avvince.

domenica 2 agosto 2009

Non chiedo a Bernardo Soares

Non voglio chiedere a Bernardo Soares cosa pensi del viaggio. Non voglio sentire risposta. Per fortuna è solo un immaginario disperato il suo. O è meno disperato del mio che spizzico vita al passaggio dei piedi lesti e sudati che indosso, davanti alla vita altrui, in un luogo non mio, in un viaggio reale di parole inventate?
Non chiedo a nessuno. Vedo vite scorrere e facce di un asiatico che non conoscevo tra le quali quella che mi presenta si confonde bene.
Sto spillando notizie da un mondo che può tranquillamente vivere senza il mio guardare.

sabato 1 agosto 2009

Fine delle campane

Abbiamo superato la barriera del suono. Cicale si affacciano sui lati delle montagne e spiccano di frastuono mentre noi passiamo le isole e dirigiamo sul fondo caldo della baia.
Dacta è un tavolo aperto sopra una piazza che sventola Ataturk. Selimiye ha le cime di poppa sopra ristoranti e un mercato di donne con occhi lunghi e gonne e verdura nuova da provare. Marmaris è il passeggìo notturno che riposa abbandonato ai sofà del mattino. Gocek ha solo due strade.
Il minareto non lo vedo. Devo cercarlo prima di pareggiare l'udito al senso degli occhi. Dicono sia registrato come le nostre campane ormai. Qualche sporadico canta ancora, ma è fato incontrarlo. Cose dell'interno, non più della costa abbagliata di luci e cianfrusaglie per turisti. Ma le campane non esistono e nessuno ne ha nostalgia.
Philippe è francese e ha dimenticato la Francia. Porta vino locale sulla tavola del nostro pozzetto. Cathy è canadese, viaggia sei mesi l'anno e stanotte dorme sulla barca affianco; beve della nostra birra che però è Efes. Ichnusa ne resta una bottiglia sola e non sappiamo ancora quando verrà la giusta occasione.
Tuycp mi porta dentro la moschea prima vestendomi di fazzoletto sul capo e gonna lunga e spogliandomi dei sandali greci. Gioca con le compagnette e si ferma, come addomesticata da precendenti incontri, davanti al mio obiettivo.
Firat continua a fare il cameriere nel piccolo ristorante di Marmaris, a servire piatti di melanzane, funghi, patate e riso; garantisce delizie e poi le serve su un piatto.
La cuoca è stanca. Siede sul gradino a cercarmi lo sguardo quando il mio già cercava il suo.
Ho camminato senza capire niente. Ho comprato borsellini rossi con luna e stella pensando di fare più mio un Paese sconosciuto. Ho contato i gatti di ogni angolo, ho confuso la coda di uno di loro per il ferro battuto di un tavolino. Ne ho confuso un altro per un borsa dimenticata su una pietra tombale.
Cecile vende argento e vuole ballare. Ho una darbuka che fa ballare anche i pochi cani che trovo. Tutti vogliono poggiarci le dita sopra. Occorre disciplinare gli arti e tamburellare non è un semplice movimento stizzoso. Certi turchi tamburellano benissimo, ma sono in pace.
Dietro il bancone mi parlano in lingua. Aspetto. Lascio che finiscano tutta l'incomprensibile frase. Poi chiedo se possono ripetere in italiano. Si scusano. Ci ritentano in inglese. Siamo mediterranei mi dicono. Non c'è niente di più simile a un turco di un italiano. Forse un sardo.
Sto lasciando nelle retrovie il meglio del mio pensiero. Non ho forza di tirarlo in coperta. L'aria bollente fa evaporare i concetti. Non c'è fortuna di vederli sgocciolare prima in parole.
Sono stanca di tanto stupore. Ho smesso lo stupore. Lo stupore è stupido a volte. Perchè dovrei amare un libro sacro sopra bambini che giocano e si lanciano rosari musulmani sui tappeti, anzichè il catechismo che Don Fenu ci impartiva nella sede di via Josto all'età di sette anni? Perchè dovrei snobbare i suoi sacramenti e sognare per un Corano altrui? Perché seni seuiyorum dovrebbe incantare più di I love you? Forse che si sprigioni più amore dalla forma delle singole lettere e dentro il loro mescolarsi?
E' suono. Come di cicale. Come di campane la domenica. Come di minareti al pomeriggio, alla sera e all'alba, ogni giorno, dopo i dj di Marmaris.
Philippe e Luce finirono il loro viaggio orizzontale a bordo del Pitawa-Ma e cominciarono quello verticale, scegliendo Turchia. Adesso c'è un motivo perchè dovremmo opporci a questo tipo di scelte? E c'è un motivo valido per confermarle?
Dov'è casa nostra? A quante miglia abbiamo lasciato l'abitudine dei nostri appuntamenti? In quanto tempo saremmo in grado di acquisirne di nuovi? E perchè mai poi?
L'ultima terra, poi c'è l'Europa. La differenza riposa stanca sulle panchine e porta fazzoletti in testa parlando ottomano. L'identità accetta euro e vende fazzoletti per tutti.
Non so cosa succeda più a est.

Sopra le sponde