domenica 26 aprile 2009

Mentre a est di Roma

Roma Palermo Mazara L'Aquila Alghero. Qualcosa che stride. Foto appese nel vuoto. Sezioni di vite scorte dalla strada. Macerie, treni, aerei, barche a vela che non camminano perché il vento è fermo. Roma come Tel Aviv, dicevano i due israeliani davanti a me a guardarla dal vagone. Roma ieri. Poi l'ho lasciata. E oggi, che la rivedo, è già un'altra cosa.
A cento chilometri comincia una visione aerea. Un elicottero sorvola il niente. Ci siamo noi sopra, con le cuffie nelle orecchie che ascoltiamo la geografia di un deragliamento. Il giovane della protezione civile vive 24 ore di fila, poi ne riposa 24, poi ne rivive 24 ancora. E così da 22 giorni. Casa non c'è più.
Casa non c'è ancora.
Sotto Punta Raisi batte la pioggia e qualche prostituta allo Zen.
Sopra gli inerti di Onna batte il sole.
Capo Caccia non ha ponente.
Le campagne del Mazàro inventano un silenzio di ruscelli e palmeti. Non c'è altro a parte un palazzo reale senza nome.
A ovest del Tevere rettangoli celesti in mezzo a boschi eleganti: la Cassia si riconosce per le ville con piscina.
Molto più a est del Tevere, Coppito pulsa di un ticchettio infinito di tastiere. "Non c'è nulla che potrà salvarci". Non c'è nulla. Più.
Sul lato opposto la zolla isolata è ferma.
Casa non l'ho vista, non la cerco. Aspettavo un po' di vento ma non ho finito di farlo.

domenica 19 aprile 2009

Il re e il maniscalco

Il re conobbe il giovane maniscalco. "Tu ami i cavalli in un modo che mi piace" gli disse seduto sul suo trono di velluto rosso, sorseggiando un fresco intruglio di mirtilli e menta.
"Sono lieto sire, della simpatia che mi riconoscete" rispose il maniscalco con gli occhi luccicanti, le mani raccolte e un po' di sudore sulle tempie.
"Verrai a stare qui e ti occuperai delle stalle imperiali" concesse il re.
"Dunque mi assumete presso la vostra corte maestà. E' una bellissima notizia, grazie di cuore" fece il ragazzo vestito di stoffe consunte.
"Maniscalco - lo incappiò il re - io non ho detto che ti assumo. Tu avrai modo di prenderti cura degli stalloni e dei puledri delle tenute regali, potrai provare i tuoi ferri sugli zoccoli dei miei purosangue, ti concederò di montarli e di accompagnarmi nelle cavalcate di corte. Crescerai in esperienza e un giorno forse potrai guadagnare degnamente dal tuo lavoro. Fino ad allora tu mi sarai debitore. Questa è una grande occasione per te e dovrebbe bastarti" sentenziò il re rifuggendo abilmente ogni remora morale.
"Maestà, sono onorato della fiducia che concedete di riporre sulla mia persona, ma con tutto rispetto sire, vi prego di non confondere la grande passione che nutro per i cavalli con la possibilità di riconoscermi meno del dovuto".
Il re, colto da una sfrontatezza che non s'aspettava simulò una risata nervosa: "Prendi i tuoi attrezzi maniscalco e portali altrove. Stavo per concederti l'accesso al paradiso, ma mi sbagliavo. La tua arroganza ti vedrà povero e servo per tutta la vita".
Poi chiamò la guardia reale e fece allontanare il giovane maniscalco.

sabato 18 aprile 2009

L'esigenza di partire

C'è il mare che brulica di pioggia. Sembra mosso da formiche impegnate ogni ora mentre noi guardiamo. C'è una canoa al largo che deve scappare perché l'acqua marina è piana, ma quella piovana perpendicolare e tagliente. C'è una barca che deve far rotta verso Alghero con una certa fretta. Quindi la cerata è pronta, il gatto resta a casa, il cane teme i tuoni e vorrebbe occupare il sotto del letto, magari piazziamo lo spi e facciamo prima. Magari arriviamo stanotte e non ci saranno stelle a brulicare il cielo che intanto non si leva la coperta di nuvole.

martedì 14 aprile 2009

Il tarlo del calzino



Come raccontavo all'amico prodiere, tutto ha inizio da un calzino. Uno qualunque di quelli a righe che avevi al piede fino alla notte prima e che poi hai ritrovato in terra al mattino pensando "più tardi lo raccolgo". Passa un'ora e non l'hai raccolto, ne passano cinque e il calzino giace ancora sul pavimento accanto al letto. La sera, prima di andare a dormire, penserai che non succede niente se gliene lanci altri due affianco, ché in fondo è il pavimento il luogo in cui devono morire i calzini dopo averli consumati dentro le scarpe. Quindi li lanci e il giorno dopo a terra ne conti tre. E' finita: la casa che avevi pulito e ordinato con fatica e ore di tempo libero è sulla via della rovina. Il tarlo del caos è cominciato. E non riuscirai a fermarlo prima di molti e molti giorni, quando di calzini sul pavimento se ne saranno accumulati dieci, sedici, e in più ci saranno slip e magliette, scarpe da vela e stivali di camoscio, jeans da lavare e fazzoletti accartocciati sulle scrivanie, canestrelli sulla tovaglia e tirabushon accanto a bottiglie vuote, tazzine di caffè ferme a bordo tastiera, mollette per capelli e forbici fuori posto, agende e taccuini, fogli sparsi e ricette mediche, appunti comunali e carte nautiche, mappe petrolchimiche e guantini per randisti. Infine mettici un gatto.
Un gatto nuovo nuovo che ti hanno prestato per vacanze in angloterre. E metti che a quel gatto il caos piaccia parecchio e ami l'idea di svilupparlo e sviscerarlo fino all'ultima sua componente più depravata. Troverai il gatto nell'armadio al posto delle scarpe che stanno fuori, troverai il gatto sul comò al posto del libro steso sul letto. Troverai il gatto e non lo troverai più perché si nasconde dentro il vortice del disordine.
Fuori invece ha smesso di ventilare. Fuori è tutto pulito. Il mare è piatto, la torre della Pelosa è ritta, il turchese è disteso senza scapigliature, una vela sbandata con lo scafo giallo ci corre sopra e non fa grinze. Ogni cosa è al suo posto. Manco solo io che per rimettere pace fra le cose m'infilo dentro il mare ghiacciato mentre improvviso una rana col costume rosso. Così ieri è cominciata la stagione del tepore ed era tutto di un ordine perfetto.

domenica 5 aprile 2009

Come indossare il lavoro che si è



Ho i guantini. I primi della mia vita e credo che se non starò alla randa continuerò a non usarli. La puntata a Roma è servita anche per questo: fare incetta da Decathlon di abbigliamento da velista. Perché quello proprio mi mancava. Spesso arrivano in barca maricoli per caso, che drizze e scotte ci mettono un po' prima di individuarle. Però vestiti di tutto punto, con il marchio Slam che emerge dai petti e veste bene il didietro.
E io questa cosa dell'abito l'ho sempre messa in secondo piano. In tutti i ruoli. E ancora resto ai margini, con qualche cosa di vero, con qualche simil marca e con qualche pezza rattoppata.
Ma prima sbagliavo. L'abito fa tanto. Ti aiuta quando la sostanza è più in là, ancora da venire. Se dovessi aspettare a quando quella è tutta pronta ed erudita, ci impiegherei un secolo a mettere l'abito giusto nelle occasioni opportune. E invece no. Bisogna sapere cosa richiede la forma prima di infilarsi dentro una qualsiasi sostanza. E in qualche modo adattarsi. Perché chi sta intorno coglie informazioni da ciò che vede. E questo produce relazioni differenti.
Cosa avrei pensato la prima volta se il docente che seguiva la mia tesi di laurea l'avessi trovato ogni giorno dietro la scrivania in tuta da ginnastica? Forse ciò che pensavo quando la Demartini, la professoressa di ginnastica delle medie, arrivava ogni giorno in palestra con calze a rete e tacchi a spillo. La fiducia sul fatto che avrebbe potuto insegnarmi qualcosa di ginnico era scaduta al primo giorno.
Una volta un sindacalista si rifiutò di darmi delle informazioni per il giornale perché avevo i dreadlock e una camicetta indiana. Un vero stronzo. Negli anni continuerò a darmi ragione, ma quella volta andò così e non si può far finta di non sapere che c'è sempre un filtro fra ciò che siamo e ciò che il resto del mondo pensa che siamo. L'abito aiuta in questo. Anche se a volte ci frega alla grande.