domenica 31 maggio 2009

Nel calesse


Non so, ma credo che questo sia il più bel posto del mondo al momento. E Billy che dice No regrette! proprio come Edith che era un uccellino. E poi Let's do it! Lets fall in love! C'è una scotta che penzola e s'asciuga della pioggia del mattino, che era tutta un'altra cosa.
Ogni cosa al suo posto. C'è un coffee grinder che luccica e l'altro no. Un bambinetto che sfreccia sulla bicicletta sul molo. E io dentro un calesse. E vedo tutto, ma sono senza occhiali, così credo che il mondo non veda. Nascosta dietro un pollice, eppure che tutto si veda non fa paura. Ma tu lo sai che ti ho pensato? A te cantante delle corse di Bukowski e, a te cantante della Svezia cagliaritana, e a te che volevi andare per vela e t'hanno tirato un coso mancino. E al giardino algherese e a quello turritano. Dei costumi che a Turris oggi si son visti sulla strada maestra.
La vela maestra è gonfia d'acqua. Se la sgonfio mi bagno. Un'idiozia. Ma di acqua ne ho già presa per oggi.

giovedì 28 maggio 2009

Ciò che viene prima

La ventola del frigo che sfrigola è quel rumore che non si addice a una serata tranquilla in cui il tuo salotto è un porto. Ma diciamo che se la fermassi ne risentirebbero innanzitutto le birre, elementi, quelli, che invece si addicono molto ai momenti di fine corsa, o di pausa, o di stop. Per esempio quanto sarebbe diverso Arturo da ciò che è se al termine di un lungo giorno di strofinamento del ponte, non mi dicesse: "io credo, cara Roberta, che sia arrivato il momento. Tu credi che potremmo berci una birra?". L'accento tosco-campano rende ovviamente il tutto molto più credibile. E siccome lui non manca mai di chiedermi cosa credo a fine corsa e nemmeno di dirmi che lui crede nella birra defatigante, lui è lui. E io credo che un frigo, in tali occasioni, mi mancherebbe moltissimo. Anche se la ventola è più roba da retro di un ristorante che da dinette silenziosa dentro un porto a riposo.
Arturo e sua moglie sono tornati a casa. Al tavolo del carteggio non restano che dieci dita appollaiate sopra una tastiera (di cui quattro conserte mentre le altre fanno il lavoro). Io credo (certamente in tutte le birrette del mondo) che sarà difficile non dimenticare tante cose di quelle cose che stanno fuori una barca. Eppure una barca ti ricorda che non puoi dimenticare niente, nè tralasciare una pompa di sentina, nè la sagola del tendalino avvolta male, nè un parabordo lasciato nel gavone anzichè appeso alle draglie quando potrebbe mettersi vento. La barca ti dice solo di fare prima ciò che viene prima. E infine di aprire il frigo e stappare ciò che devi stappare.

lunedì 25 maggio 2009

Marea

Ormai sto quasi entrandoci in sintonia. Nemmeno mi scoraggio più con tutte quelle botte che prendo alle ginocchia, in testa e sui gomiti, chè la brandina dentro lo sgabuzzino di prua, fra lo strallo di trinchetta e la paratia, è davvero corta, ma c'ha un osteriggio grande così che appena verrà fuori ci vedrò una luna grossa. E alla fine, l'ho detto anche a Arturo, quella è la cuccetta più bella di tutto il Marea. Lividi quanti ne vuoi, comunque. E nel ginocchio destro ho già messo a seccare una bella sbucciatura procuratami con accorta strisciata durante una virata nei pressi del coffee grinder.
Poco femminile. E siccome La Spezia è piena di maschi ventenni coi capelli rasati e pure le donne adesso possono scegliere questa via militare, già in diversi casi mi hanno domandato se mi sono arruolata in marina.
Ma io? Posso io essere arruolata in marina? Che mi pare pure strano, perché comincio ad avere una certa età..e quando avevo 18 anni non era così scontato nemmeno il servizio civile e un mio amico si era persino finto gay per farsi riformare..Così quando mi chiedono se sono in marina, mi viene una faccia che sto appena imparando a contenere e che dice "Ma che vuole questo? in marina? ma perchè ti sembro un ragazzo che fa la leva?".
Poi oggi effettivamente sono finita a lavare le mutande sporche e le lenzuola nella lavanderia vicina all'Arsenale, dove vanno tutti i militari. Così quasi cominciavo a entrare nella parte. A sentirmi un po' Demi Moore. Volevo una santissima targhetta di quelle alla Maverik di Top Gun. Una targhetta da marines da lanciare in mezzo agli oceani quando non avrò più niente da rimpiangere. Non mi piacciono i codici militare e dunque potrei lanciare il cellulare, tanto è già quasi prassi.
Di sicuro però ci tengo ai marinai e alle storie dei loro viaggi. Mi piace questa idea, che siano militari o uomini di montagna scesi 50 anni fa sulla riva dei mari e sorpresi dai gelsomini di maggio e dall'odore di morchia dietro il primo angolo di porto.
Dal Marea se ne intravede qualcuno di questi marinai, di tanto in tanto.
La moltitudine invece, con titolo o meno, lucida gli yacht dal mattino presto e poi ricomincia a lucidare perché ha finito il primo giro e non sa più come riempire il tempo.

sabato 16 maggio 2009

Arrivi e partenze


Ciò che è pelagico prima o poi si spiaggia.
Da una parte o dall'altra delle coste del mondo bisogna pur arrivare.
Qualcosa come un milione di velelle ha scelto lo scoglio sotto casa mia come soluzione di continuità al mare aperto.
La bellezza di migliaia di alette issate come rande sopra un corpo mollusco è durata poco. Adesso queste naufraghe eterodirette dai venti, cozze senza guscio e del colore dei lapislazzuli, stanno tutte qui sotto, centinaia e centinaia morte a marcire.
Io sono un pesce nato sul bordo della terra, sul lato sbagliato. Divento pelagica d'estate. Isserò la vela maestra, andrò a spiaggiarmi da qualche parte, tenterò di non puzzare presso gli scogli di altri mari.

lunedì 4 maggio 2009

Il mondo beccheggia


C'è un dondolio continuo e discreto che non risparmia nemmeno la scrivania e il pc davanti. Dura da ieri, da quando ho lasciato Quisqueya all'ormeggio stanca e vincitrice. Per salvarmi dal becchegio e dal rollio sono costretta a salire a bordo di un'altra barca, subito. Non ci sono altre cure al malditerra. A meno di non sopportare il vuoto di un vento che ti ha agitato per 4 giorni e 180 miglia, soffiando da zero a 18 nodi e un uccellino affranto dal viaggio che si posa di notte sulla cima del timone, e resiste all'orza e alla poggia, spostandosi con le zampine sul cerchio di cuoio come facesse un balletto. Per qualche ora era lui lo skipper. Per fortuna stamattina c'era la nebbia. Così dal letto di casa ho perso le tracce del mio rientro. Una nave continuava ad avvisare la propria presenza in porto: 55 secondi di silenzio, 5 secondi di trombe, per due ore. Non era facile convincersi di non essere più nel cuore del mare, ma a casa. Non corrispondeva il silenzio delle drizze che avrei dovuto sentire sbattere all'albero maestro. Il tintinnio ci aveva portato da Alghero a Carloforte e ritorno. Alla fine ha salutato la nostra regata vincente.
Al momento niente è a posto. Solo il fatto che il mondo fuori continua a beccheggiare mentre il vento è tranquillo e il mare più distante.