martedì 10 agosto 2010

Egeo ancora

Penso a questo spazio sempre, specie ora. Poi non ci arrivo perché seguo le vicissitudini dell'ora locale, Dodecanneso, Simi-Rodi, Rodi-Simi. Non c'è vela, non c'è vento, non c'è ombra che conforti l'equipaggio.
L'aria forte l'abbiamo lasciata il mese scorso. Ora comincia l'asfissia e non si intravede una fine concreta. Il comandante dice: non c'è tempo da perdere, è d'uopo esser lesti, necessaria la perfezione. Il comandante ordina: appennelliamo l'ancora, diamo fondo qui, diamo fondo li, salpiamo, pranziamo, filiamo un cavo di poppa, molliamo, silenzio, ordine, accidenti, lavastoviglie, lavatrice, non stendere, non sbattere, non dire falsa testimonianza, l'aria condizionata, il pensiero condizionato, l'umore condizionato, la prua, la poppa, diamo fondo, salpiamo, apriamo le vele, è tutto pronto per sbandare?
Il marinaio guarda il mare, sogna cose non sue, ha la testa piena di tutto, vorrebbe svuotarla, piscia nel gavone dell'ancora, non sa niente di come sta girando il mondo fuori dal mare, e ciò sembra tanto, ma è niente.
Siamo in pieno Egeo, l'abbiamo attraversato, sporcando i sogni del passato con un presente acerbo, malandato, splendente di novità,  come sempre il presente ne porta. Di libri possiamo leggerne meno, leggiamo di letteratura e salti mortali, leggiamo di diritto, obbligazioni, persone fisiche e giuridiche, leggiamo a volte con la testa altrove, a volte abbiamo la testa sui libri e non sull'ancora che salpa. A volte l'ancora s'incastra ai fondali, a volte ricevere ordini suscita disordini. E' una navigazione teatrale, psicologica, molto, molto superficiale, meravigliosa ancora. Il nostro navigare è il luogo in cui sveliamo i segreti, li assopiamo, facciamo finta di niente, come un bambino già consapevole dell'eleganza civile, che si scaccoli comunque con due dita nel naso senza dare nell'occhio.
Siamo dei bugiardi con fondi di verità dentro il bicchiere, siamo gente stizzosa, allegra, malinconica, sensuale, audace, gente che ha del coraggio da vendere quando si tratta di celare la propria codardia. Facciamo programmi e non sappiamo su quale pentagramma accordarli. E non sappiamo scrivere. Sappiamo solo copiare, senza essere certi della nostra innocenza, e ce ne andiamo così. Qualcuno lacrima a prua, ma in breve il meltemi o un vento qualunque, un vento senza nome e senza letteratura, asciuga in fretta il pianto, vento vigliacco, dannato, non sa quanto tempo abbiamo impiegato a fabbricar lacrime, non sa quanto tempo è occorso per costruire il dolore di cui  ci lagnamo. Ce ne andiamo domani e non sappiamo come rammaricarci stasera, vorremmo festeggiare l'addio con un pianto di disperazione e facendo l'amore piangendo sopra un sorriso senza destinazione, ma non abbiamo le stanze adatte per farlo, anche se siamo padroni di tutto.
L'equipaggio intanto non riesce a prendere sonno e brandeggia, poichè la branda, il giaciglio ai nostri sogni penzola da un lato e dall'altro in cerca di quiete. Ha guardato la luna nascere, crescere, levarsi e calare ancora, rimpicciolirsi, sudare come se il sole la importunasse scandalosamente.
 E' possibile che siano trascorsi due mesi e la veranda del mio lungomare appartenga ad altri. E' possibile che abbia dimenticato qualcosa o qualcuno, ma l'oblio è solo accidentale e temporaneo. Una tazzina di ceramica sotto la finestra sporca di caffè, di un caffè lontano, di chissà quale mattino appena tiepido e piacevole, quand'era ancora primavera e non pensavo ad ordini e disordini. La primavera è degenerata da tempo. Non c'è posto migliore in cui stare.