mercoledì 15 settembre 2010

Solvenze

Palermo un anno fa era città nuova di palazzi; discutevano uomini in affari nelle sale affrescate della provincia, i ticchettii delle tastiere rimbalzavano sulle pareti bianche degli stanzoni inventati per un giornale morto. Niente odori di mercati, non c'erano meuza nè panelle o sfinciuni, arancini, frittura, interiora vendute all'angolo di strade e i barbeque alla Vucciria furono visioni notturne troppo remote o soltanto di ieri. Come sarebbe apparsa Ballarò nell'ora d'aria non l'avrei saputa immaginare allora, quando Palermo non era stata niente di tutto il vapore di pentole con patate bollite che ti lasci adesso ai fianchi passare.
Siamo venuti dal largo. Abbiamo ingoiato le vele dopo onde nere e ventose sopra le correnti di Messina, accanto a traghetti prepotenti che passano interminabili davanti alla prua.
Siamo giunti in banchina, salati digiuni di piedi e sanpietrini, di passeggìo umano, di pesce venduto ai banconi. Avremo sputato un po' del nostro sangue per farci sorprendere nei vicoli di una città, e dopo aver aspettato che la grandine si sciogliesse sull'uscio della casa marina spremendoci per la voglia di andare abbiamo toccato terra risolvendoci per un poco dal mare. Il mare è disciolto alle spalle.
Elenchi di progetti passati si riaffacciano ai davanzali ma ho fogliole di basilico nuovo che spuntano dentro un vecchio vasetto.


"Troppo mare. Ne abbiamo veduto abbastanza di mare./ Alla sera, che l'acqua si stende slavata/ e sfumata nel nulla, l'amico la fissa/ e io fisso l'amico e non parla nessuno". Cesare Pavese, Gente Spaesata

lunedì 6 settembre 2010

Dileguando le stelle nel mare

E' un volo, non c'è tempo, io vedo il mare scivolarmi sotto, saltarmi addosso, mi stringo alla trinchetta piegata sulla prua, lo scafo sbandato, sono nel blu, sono ancora a bordo, penso: non è cosa da niente, penso: non c'è paura, perché? è già tramonto, è già alba, alle spalle l'ultimo capo del Pelopponeso, una stagione, l'affanno di ogni sveglia, dei mezzogiorno, di ogni cena, passa il meltemi che soffia da nord, arriva ancora ma qui si dice tramontana.
Abbiamo navigato la luna, una luna intera, siamo tornati all'inizio, siamo soli, non abbiamo parole reciproche, niente da sostanziare, solo a ciascuno la propria porzione di mare, al pomeriggio, alla sera, al mattino, fin quando non so, non pongo domande, la navigazione è senza destino, arriveremo quando sarà. Abbiamo ancorato l'alba ai silenzi, accanto a una stella marina, l'ho vista dall'alto, il mare non era un ostacolo. Abbiamo ingoiato lo Ionio, dileguato l'Egeo, viriamo al Tirreno, ci sarà un nuovo accampamento di stelle stanotte sopra le nostre teste, gli ormeggi sono già volati via, Leuca è la luce del tramonto, avremo altri porti da commentare.
Lo so. L'estate è passata ed io sembravo scomparsa, ma stavo dentro un barattolo nel mare e galleggiavo senza fiatare, guardavo soltanto, non c'era tempo per altro, ed era un sogno, era una follia e l'inferno rincorreva le stelle e le stelle cadevano giù e c'erano troppe stelle per dirle tutte, troppa emozione e già si faceva giorno, mentre ora, di nuovo il giorno finisce e finisce la terra.
Il largo. Il largo da navigare. Io sogno di nuovo, scusate, m'immergo, scompaio, ritorno alla stella che scende, la vedo adesso, ma fra poco si rompe nel mare, una cosa così complicata che non posso più starne a parlare.