martedì 8 settembre 2009

Dopo il gatto

L'aria fresca arriva al mio naso un giorno prima che sul resto di Marmaris. Non piove, ma l'estate scade anche qui, come a casa. Non è tempo di casa ancora. Anche se Firat sta per finire il lavoro al ristorante. Da un anno non fa ritorno a Mardin, duemila chilometri più a est. Dove sarà Amaia adesso forse. Dove vorrà andare Frederic. Non so cosa sarà del gatto. Lo porterei con me, ma dove? Il viaggio è un'incoscienza sorprendente.

lunedì 7 settembre 2009

sabato 5 settembre 2009

Anatolia appena

Torno al mare adesso, quello vero, ma nel cuore dell'Anatolia camminavo su acqua e terra di sale, vasta come un nuovo deserto di neve bruciante sulle caviglie, silenzioso e mite come un mare che non esiste.
Tuz Golu l'abbiamo trovato dopo cento chai e infiniti sorrisi. Anime disperse tra mattoni di fango, donne con gonne e pantaloni e turban avvolgenti e zappe alle mani. Uomini in ramazan fumano sigarette nascoste dentro locali per backgammon. Deserto di donne a Eskil. Ultimo porto prima del grande lago bianco. Pregano, ci dicono. Ma il loro ramazan dura un anno intero.
Amaia ha chiesto che fanno tutte quelle donne sedute coi bambini e le giovani all'ombra del caravanserraglio di Sultanhani. Salutano i figli militari che scompariranno per quindici mesi. E così io capisco l'assenza di un sorriso nell'immagine imprigionata dal mio obiettivo. Scatto foto e quelle riempiono una pagina del mio taccuino coi loro indirizzi di casa perché io non dimentichi di inviare questo ricordo di partenza.
I ragazzi vanno e salutano dove un tempo era il riposo del cammello. Almanak è dove l'animale stanco da nove ore di cammino appoggia le zampe e si conforta. Ogni quaranta chilometri i sultani selgiuchidi vollero un caravanserraglio, con moschea e ristoro gratuito per i viaggiatori sulla via della seta. Oggi i bus si portano via i ragazzi della campagna perchè diventino difensori di una patria.
L'aria si fa solitaria in breve.
Alla sera osserviamo nel freddo e sotto gocce di pioggia, i dervisci di Konya rotanti e persi nel turbine, ma il centro è in equilibrio. Il corpo vorticoso non si perde nella tangente.
Amaia ha gli occhi silenziosi. Un uomo accanto vestito di un nero elegante risponde alle preghiere sacre e forse ha un figlio fra i ruotanti. Lo abita l'aria nobile di chi ha un motivo per essere fiero.
I cappelli delle fate mi colgono perché il paesaggio prima è una pianura secca. La Cappadocia è un nuovo immobile turbine di comignoli in tufo sui quali si affaccia il nostro guardare. Eravamo aride e ora siamo fatte di punte rocciose, con finestrelle e porte e altari sacri appesi e infilati nella pietra.
Riposo nell'ultima chiesa d'inchiostro rosso. Un disegno di mille anni fa mi guarda mentre siedo sola con in tasca le chiavi dei monaci antichi.
Una giovane donna mi viene a cercare. Ma stavo solo scrivendo, immobile nel regno delle cose che non ci sono più e che la mia immaginazione così limitata non riesce a scorgere.
Sono seduta nel punto esatto in cui il mio guardare s'è fermato.
E' così impossibile il passato?

Un bus mi ha sequestrato per diciassette ore.
Marmaris è il quartiere solito al quale tornare perché un pezzo di viaggio è finito. Amaia è a est. Frederic ci sarà a breve. Domingo e Nuria a passare una febbre violenta fra i cocuzzoli di Goreme.
La puzza di gasolio mi riporta in barca.
Marea. Cosa fai? Mezzaluna, gatta nera, è tornata anche se la luna è piena?