domenica 17 gennaio 2010

Vele a Libeccio

La Terra si decise e parlò al Mare:
"Oggi ho voglia di soffiarti del vento, Mare. Sei d'accordo?"
"Fai come credi - disse il Mare – ma non chiedermi aiuto, oggi è domenica e sono a riposo"
La Terra scelse di soffiare il Libeccio così che il Mare non ebbe niente da fare, nemmeno gonfiarsi di onda.
"Lo senti come soffia?" chiese più tardi la Terra al Mare orgogliosa.
"Veramente io non sento nulla"
"Ma come - incalzò delusa la Terra - non senti come ti sviolina il vento sopra la pelle?"
"Ribadisco Terra, io non sento nulla. E mi sono ignoti i violini di cui parli"
"Oh insomma - si piccò la Terra - Possibile che fai proprio come la Luna? Anche tu nulla eh! Siete tutti uguali"
"Terra - disse il Mare annoiato - io non so che farci. La Luna giurò di non sentire nulla, a te e perfino al poeta. Perché dovrei io dirti cose diverse?"
"Andiamo Mare - disse la Terra materna - Sforzati un poco. Ti ho sollevato il Libeccio sopra la pancia e c'erano quattro esseri umani con le vele bianche che ti correvano addosso. Mandavano ululati al Cielo contenti. Dicevano di sentire violini nell'aria, suoni di sartie, raffiche festanti. E pur’io mi sento tutta ondeggiare”.
Il Mare restò impassibile alle insistenze della Terra:
"Terra, tu premi, ma io appena un solletico avvertivo al mattino. Ora più nulla. E se dici che gli esseri umani ululavano al Cielo, domanda a lui se non abbia sentito farfuglio"
"Al Cielo? Ma io col Cielo non riesco a parlare da anni. Prova a domandarglielo tu, che spesso ti confondi con lui e pare che quello ti somigli"
"Vuoi davvero che io disturbi il Cielo per questo? Va bene Terra, farò come chiedi"
Il Mare allora si mise più piatto e somigliò al Cielo sopra l'orizzonte. Poi schiarendo la voce chiamò:
"Cielo, sono il Mare, avrei bisogno di domandarti qualcosa"
Il Cielo spostò un nembo dall'occhio e guardò in basso:
"Qual buon vento Mare? E' ormai qualche tempo che non ti sentivo. Cos'hai da domandare? Sonnecchiavo sotto la mia coperta felpata d'altostrati"
"Perdona il disturbo Cielo, ma è la Terra che chiede di rivolgermi a te"
"La Terra? – domandò stupito il Cielo - E cosa mai vuol sapere da me la Terra? E perché non mi si rivolge lei stessa diretta, anziché domandare la tua intercessione?"
"Beh, Cielo, la Terra non è più in confidenza con te da tempo. Forse teme di disturbare. Così ha chiesto a me di parlarti ché, dice, pariamo talvolta della stessa sostanza"
"La nostra sostanza è simile sull'infinito, Mare. E' l'orizzonte lungo che ci rende mischiati alle volte. I troppi barattoli e scatolette di cui è costruita la Terra oramai l’hanno fatta ristretta e senz’eco. Più simile ai suoi umani che l’abitano, che a me medesimo. Ma dimmi, cos'aveva essa da chiedermi?"
"Beh, Cielo, la Terra è curiosa di sapere se per caso questa mattina tu avessi sentito violini armeggiare, raffiche di Libeccio in festa e ululati d'uomo contento"
Il Cielo alzò gli occhi a se stesso, in posa pensante. Fece silenzio per qualche momento. Poi disse:
"Ebbene Mare, dì pure alla Terra che ho sentito qualcosa. Ma non violini, né il Libeccio festante e nemmeno ululati"
"E cosa allora?" chiese il Mare curioso.
"Piuttosto un bisbiglio, caro Mare. Un bisbiglio come in quel film di Win Wenders in cui c'ero anch'io, ricordi?"
"Si, si - rispose il Mare - ho capito di che film parli. Non andasti in Germania per girarlo?"
"Già proprio così"
"E dimmi Cielo, anche qui sopra Porto Torres sentivi un bisbiglio di natura umana quest'oggi?"
"Esatto Mare"
"E cosa diceva questo bisbiglio d’uomo?"
"Beh vedi Mare, diceva: Infinito"
"Infinito?" chiese stupefatto il Mare
"Si Mare, ripeteva Infinito”
“E nient’altro?"
“Nient’altro”
“Capisco” pronunciò quello per la prima volta pensoso.
Allora il Mare si gonfiò appena, perdendo i connotati di Cielo. Tornò alla Terra che subito incalzò:
"Dunque, Mare? Che dice il Cielo? Ha sentito qualcosa anche lui?"
Il Mare si mise in posizione di mare e lambendo gli scogli disse:
"Ebbene Terra, oggi è a te che il Cielo somiglia".
Poi si rinchiuse in silenzio. Si accovacciò a fianco la costa e si mise in attesa, cosicché altri umani tornassero ad aprire vele che il vento di terra potesse trainare.


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sabato 2 gennaio 2010

Il furto del tempo

Cominciavo il 2009 osservando la calma ciaggadda del mare del primo gennaio e i gesti serafici di un pescatore che conquistava granchi. Il mare oggi non ha conservato la saggezza di allora. Strapazzato di notte da un libeccio rabbioso. L’onda si getta stanca su altra onda di ritorno dagli scogli. C’è un anno nuovo che si affaccia sopra il vecchio orizzonte. È una distanza che si misura col righello del tempo.
Ci fu un tizio una volta, sulle sponde di Silifke, che venne a raccontarmi di una teoria sul tempo e sullo spazio abbinandola all’uomo e alla donna. La donna, disse, è la regina del tempo lungo e dello spazio corto. L’ambiente stretto e la vita longeva l’hanno costretta al senso dell’attesa, alla necessità di un programma. Gravidanza, casa, comunità maturano conservazione, responsabilità al controllo, senso di proprietà, esercizio di custodia, bisogno di sicurezza. L’uomo, disse, è il coito, il tempo breve, l’impermanenza, la sazietà che si cerca e veloce si consuma. Ma il terreno di caccia è spazio illimitato, scoperta, furto e conquista di cose e di libertà. Gli uomini pisciano ovunque e la tazza del cesso è solo un luogo approssimativo i cui contorni sono altrettanto validi per pisciarci sopra.
Poi ci sono maschi e femmine che non rispettano i campi assegnati dal genere. Donne che si fanno marinai, in cerca di terreni vasti su cui sperimentare un programma e uomini che tentano di allungare il tempo per saziarsi di più.
Se si incontrano queste due specie, pensai, non vivranno a lungo insieme, perché tenteranno di depredarsi l’un l’altro.
Ci separammo. Il suo viaggio aveva davanti tutto l’est possibile. Io marciavo verso il ritorno, ad ovest. Sulla strada verso casa contavo ormai i giorni, non più lo spazio che mi separava dalla fine del viaggio.
Seduta sulla sedia di una piccola stanza fatta di vetri, misuro adesso il mare con il tempo lungo che passa e che viene di continuo. Anno vecchio, anno nuovo. Penso di sbieco alle parole del tizio che ha attraversato finora una decina di frontiere e che sta bagnandosi nelle acque di un oceano indiano.
In una sintesi di generi e teorie, me ne sto a sognare itinerari e distanze e a progettare nuovi furti del tempo.


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