mercoledì 18 febbraio 2009

Cara pintada

Non incrocerò le dita perché l'ultima volta che l'ho fatto il mondo in mia assenza s'è disciolto in un bicchier d'acqua con molta medicina, di quella cattiva, e s'è bevuto l'occasione di farsi del bene. Dunque, visto che non abbiamo amore per le piccole cose, e non c'è niente oltre alla volontà stessa che sia capace di creare destino, farò a meno del rito apotropaico e lascerò i miei arti slegati. Avrò bisogno di una mente e di un corpo che lavorano, non solo di un'anima che spera.
Sull'autobus del ritorno eravamo in cinquanta. I Pirenei con tre ciuffi bianchi ci guardavano strisciare lungo la valle. Una donna dalle braccia flaccide e il sospiro inglese dormiva accanto al mio gomito e non si curava del ritorno per casa. Dieci piloti d'aereo ci avrebbero trasportati ognuno verso relative geografie. L'uomo sul sedile più avanti col cellulare in mano progettava in napoletano di prendere nuove licenze a Bari e in Calabria. Il gruppo di spagnoli in fondo si chiedeva come sarebbe stata la Sardegna. A me non restava che appuntare dettagli insignificanti su un taccuino nero che sogno inutilmente di riempire con parole sorprendenti. Ma che ci posso fare se mi sorprende ciò che potrebbe non avere qualcosa di speciale?
Le vite a caso. Una qualunque, dietro ogni finestra che si affaccia sulla via d'uscita e d'ingresso dalla grande città, per ogni balcone una, sei storie, destini che si compiono. Una comida, qualcuno ciarlare, piange l'incompreso, qualcuno dà tinta a una parete, sbuffare, fatiche da compiere. Niente suggerisce che il viaggio è finito.
Io sbevazzo tomando gocce di algarrobo per un posto nel mondo che sia mio.
Se lo spirito è già in volo, quando il corpo sarà arrivato quale sedia starò occupando? Chi occuperà me?
Prima della partenza ho distribuito dolci alla crema mescolando ingredienti che si ignoravano, disposti su scaffali lontani, prima del mio arrivo.
Con le fruste ho zuccherato il mattino.
Ho visto giapponesi scattare foto e asiatici di altri dove servire caffè ai tavoli della piazza. Cileni sposarsi con europei per un permesso di soggiorno e giovani neri trasportare ventiquattrore dentro le metropolitane. Guardavo le traiettorie degli altri incrociarsi con le mie, e la traiettoria degli occhi delinearsi parallela alla strada giusto all'altezza di Barcellona che passa, vestita di ogni lingua del mondo e con la cara pintada. Ho strisciato fra vie gotiche inseguendo cinquecento tamburi di Sant'Eulalia incontrati dietro un ristorante indiano, ho sposato il cuore coi battere e i levare.
Ogni passo sta bene se aggancia un ritmo. E' un destino che scegli e che mescoli con mille altri. Non c'è il tempo per pentirsi, per restare indecisi. E' ciò che volevi.

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