sabato 18 dicembre 2010

Arrivi e partenze a Las Palmas

Al mattino la marina è tranquilla. Sulla barca accanto la proprietaria ha già cominciato come ogni giorno a lavorare. Chiude gli osteriggi, tira fuori la manichetta dell'acqua, ordina le manovre in coperta, si gira verso il Two Moons, buenas dias mi dice. Il resto del mio equipaggio si sveglia pian piano. Eccoli in pozzetto mentre il sole guizza di tanto in tanto fra i cumuli bianchi di nuvole e scalda oltre la normale logica di ciò che per me significherebbe dicembre. Com'è dolce ingannare la stagione con la geografia.
A breve verrà il velaio a restituirci la randa strappata in mezzo all'atlantico. Quanti danni da risolvere, mentre la meteo non ci consentirà di partire prima di lunedì. Natale e capodanno saranno moltissimi meridiani più a ovest di Greenwich, lontani da ogni terra. Verrà forse a confondermi ancora il senso dei confini. L'orizzonte potrebbe prendersi gioco di noi e farci credere di navigare in un mare chiuso, o in questo modo dirci la verità.
La barca è un recinto oltre cui non c'è scampo.
Il porto è una porta.
Arrivare, partire, il dondolìo, l'onda, il sole, il mattino, le nuvole, il buio, la notte, l'andare, il rollare, il sogno, le guardie, l'oceano. Chi riuscirà a decidere a che cosa assomiglia di più il proprio animo?
Pensi che tutto sia incredibile? Tutto stupefacente? O sei solo uno scafo che tiene una rotta monotona, un pugno di intestini prigionieri dentro un breve cortile in vetroresina e galleggi per via di forze di cui non sei artefice nè ingegnere. Siamo forse gli esploratori del già dato.
Al piccolo bar davanti al molo arrivano naviganti ed aspiranti. Se ne stanno tutti là al bancone, bevono birre, mangiano patate fritte e puntillas, appendono al muro annunci di carta. Chiedono l'atlantico, il grande passaggio per l'ovest, chiedono tutti di sbarcare nell'altrove superando con le vele l'oceano.
Io mi godo lo strascico del piccolo tratto di oceano passato e già così di nuovo lontano.
Sono trascorsi quattro giorni e quattro notti dall'attracco a Las Palmas. Sembra un tempo infinito.
Mi piace strisciare la suola delle infradito sull'asfalto mentre mi reco ai bagni del marina per fare una doccia bollente.

3 commenti:

  1. Grande Ro, Solo tu riesci a farmi inchiodare sulla discesa ghiacciata di Pozzomaggiore per la curiosità scimmiesca di dover leggere l'aggiornamento del blog appena sfornato, e con più goduria ancora la mail privata, tutta per me! (questo lo dico per l'invidia degli altri lettori...) Tu hai bisogno di un mare VERO da navigare, hai bisogno di una pagina VERA da scrivere: l'oceano ti darà quello che il golfo dell'asinara non potrà mai darti. Veleggia amica mia e scrivi scrivi scrivi...

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  2. Al di qua, la solitudine delle infradito lasciano
    odore di naftalina.
    Ora a prevalere è l'orgoglio di felpate ciabatte
    sedentarie simulatrici di caldo ..
    Vorrei addormentarmi sino a luglio
    o comprarmi subito le infradito e volare alle
    Canarie.
    Ciao.

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