giovedì 11 dicembre 2008

Il saluto del tornello

Non scrivevo più in questi giorni perchè ci sono fatiche di altri generi che possono arrivare a mettere il silenziatore su ogni tipo di composizione. E un pò anche perchè cercavo un riscontro e dei commenti alle storie lanciate dentro questo slideshow qui sotto, che m'ha consumato una domenica. Ci saranno tempi migliori per tutti. Anche se non so bene come. Oggi ridevo con l'amico che ha fra le mani una lettera di cassa integrazione e per Natale sta a posto. Ridevo con lui non per cinismo, ma perchè a volte quando niente ce lo richiede è più facile offrire al lato triste delle cose una sfaccettatura grottesca, scovarvi un destino burlone. Situazione grottodrastica proponevo io prima di accorgerci che c'è già una parola che va benissimo ed è tragicomica. E ridevamo mentre mi raccontava che la sua ultima notte in stabilimento non è in realtà mai finita. Pare infatti che il mio amico sia ancora là dentro. Alle sei del mattino, terminato il turno, aveva già raccolto tutte le sue cose e stava passando fra i tornelli per tornarsene a casa, e mentre infilava il cartellino dentro la macchinetta come ha fatto per anni, un suono drastico e inconfondibile per quanto mai sentito prima di allora, stava ribadendo un concetto che però, li per li, poteva pure essere evitato, tanto era pleonastico. Il rumore aspro, non quello tondo, regolare del "lei ha terminato anche per oggi le sue otto ore di fenolo, può andare", gli stava risputando indietro il bel tesserino con acidità e la scritta "disabilitato". O forse scaduto, o forse inutile, consumato, esaurito, finito, caput. Alle sei del mattino era infatti già l'alba del primo giorno di cassa integrazione. Le lettere non hanno fatto in tempo ad arrivare a tutti i 350 dipendenti, tanto che qualcuno quel giorno s'era presentato pure con la speranza che forse di lui s'erano dimenticati, che l'avessero per errore saltato dalla conta, salvo poi essere rispedito indietro dopo pochi minuti. Ma il tornello del mio amico, puntuale, alle sei del mattino, non aveva avuto dubbi sull'inservibilità di quell'operaio, la cui operosità è targhetta alquanto obsoleta oramai. Nemmeno il suono dell'"arrivederci, lei ha fatto un buon mestiere per noi", nemmeno il suono della confidenza, di anni di impiego e timbrature. Come se, appunto, quelle ultime otto ore non fossero mai state portate a termine, il segnale sonoro stava solo maleducatamente a suggerire il gong per un nuovo incontro, non la fine di un giorno di lavoro, non l'incontro col letto di casa finalmente dopo ore di turno, non l'ingresso nella civiltà fuori dall'impianto. Ma l'incontro con un nuovo avversario che non sai mai quant'è più scaltro di te e che si chiama "niente lavoro per voi".
Esci e non c'è una società che ti cullerà la fuori, nè avrà tempo per consolarti. Se c'è una società migliore che ti aspetta è quella nata indipendentemente da tanta politica e da tanta economia. S'è fatta bella da sola. Ed è il motivo per cui l'amico ed io ridiamo e lo facciamo spesso e lo facciamo con altri. La nostra società interiore, quella di cui parlava Seneca, ce l'abbiamo, proviamo a coltivarla, ne abbiamo un'idea e proviamo a realizzarla. Ma che sia una società diffusa, istituzionale, collettiva per davvero, questo sembra ormai troppo sperarlo.

1 commento:

  1. Mia piccola adorabile "zinzura"
    Probabilmente in un film di....???( come si scrive VudiAlen ? ) Vabbè quello lì,
    il protagonista dicevo, dal tornello si sarebbe sentito dire qualcosa tipo "StattebbùonoCumpà sctà cosa nunvà enotepossolascià andà" così il nostro operaio sarebbe rimasto prigioniero della fabbrica, però pagato visto che non può uscire!!!.....Invece..... questa non è finzione, e prigionieri lo siamo tutti, non della fabbrica ma di un sistema che scricchiola sempre di più, un sistema che ci siamo lasciati cucire addosso lentamente, e che ormai fa parte di noi, siamo noi!!! In certi momenti nemmeno più capaci di alzare la testa, di guardarci intorno in questo bosco di girasoli di pietra, dove della solidarietà ne puoi sentir parlare da qualche vecchio nostalgico , ma non fa più parte di noi. Come sardi siamo abituati a "venerare colui che viene dal mare" anche quando oltre alla terra l'aria e l'acqua inquina anche i nostri sogni, poi... "StattebbùonoCumpà" e stato bello, baci e abbracci, alla prossima. Si è sempre stato così da secoli, arriverà qualcunaltro dal mare ( fa molto esotico) e la storia si perpetuerà.Il grande Fabrizio De André ha paragonato il Popolo Sardo ai Nativi d'america , personalmente spero di non subire la stessa sorte. Buona permanenza sul pianeta terra a tutti.

    RispondiElimina