mercoledì 28 gennaio 2009

La parabola del fotografo

Un amico fotografo, professionista per davvero, ha accettato di scrivere qualcosa sulla condizione della categoria che rappresenta. Passo palla (tanto poi rimbalza e mi colpisce in testa). E se poi volete farvi male qui c'è pure la parabola del giornalista.


"Alla fine hai ceduto. Le notizie che avevi, e che solo tu potevi dare, sono apparse sulle pagine di oggi.
E quello è frutto di quel disegno dall'alto, di lungo periodo, che attua il nostro editore, ma anche gli altri.
Giocano sulla vanità dei giornalisti e dei fotografi. Che protestano fino a quando non hanno un pezzo
o una foto che gli fa fare bella figura (una notizia importante che leggono tutti) così "inconsapevolmente"
tolgono le castagne dal fuoco all'editore proprio quando lui potrebbe accorgersi che l'assenza-presenza dei collaboratori conta
qualcosa. E conta anche sul fatto che sono disuniti.
Ci facciamo in quattro per le battaglie degli altri (petrolchimico)
e le nostre invece sono impossibili, tanto da innescare una guerra tra poveri che decreterà la fine di due professioni:
quelle del giornalista e del fotogiornalista.
Sono entrato nel mio archivio e ho digitato la parola protesta:
SAR, Krenesiel, infermieri, muratori, chimici, sardabauxiti, vigili del fuoco, 118, ricercatori universitari, zooprofilattico, ecc
Noi siamo sempre stati al loro fianco, ci siamo indignati per tre mesi di ritardo nel pagamento dei loro stipendi.
E il nostro intervento come giornalisti
è stato determinante per la risoluzione delle loro vertenze. Ebbene noi non abbiamo imparato niente da loro.
Perchè noi stiamo zitti innanzitutto,
abbiamo un sacco di amici giornalisti e non li chiamiamo per fare un pezzo sul precariato-schiavismo dei collaboratori dei giornali.
E non abbiamo capito che uniti si vince, nonostante ci siano tanti esempi a favore.
Sono riusciti a metterci l'uno contro l'altro, facendo leva sulla nostra povertà e sulla nostra vanità. Otterranno solo una qualità dell'informazione
sempre peggiore e fotogiornalisti che faranno matrimoni sì, ma stile reportage, quelli che vorrebbero fare ma nessuno glieli paga. Che tristezza!
La mia battaglia personale-sindacale-legale contro il giornale sta per finire, forse. E' stata durissima, sotto molti aspetti, che elenco:

ho dovuto lasciare un lavoro che adoro (quella vanità di cui sopra, che ti porta a inviare foto al giornale nonstante non ti paghino da più di un anno)
ho dovuto rinunciare ai guadagni che avrei incassato adesso, in ritardo ma sicuri, dell'ultimo anno, per protesta (no money, no photos!)
Ho dovuto dare retta a un sindacato che mi-ci ha usato solo come merce di scambio per raggiungere i loro obbiettivi (questa è pesante lo so!)
Ho dovuto subire ricatti e minacce. E qui ringrazio i colleghi che hanno ascoltato le mie ragioni e, nei limiti possibili, hanno appoggiato la mia protesta.
Mi sono dovuto inventare lavori per pagare le tasse di guadagni mai percepiti ed evitare la visita di un curatore fallimentare.
Ho dovuto pagare, in anticipo, un avvocato.
Ho decretato la fine della collaborazione con il giornale.

Io non lavorerò più con il giornale, questo è chiaro. Ma il problema per i collaboratori che continuano resta e dovranno fare i conti con una certezza:
venire pagati sempre meno e di essere sempre meno riconosciuti come professionisti.

ciao"

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