sabato 22 novembre 2008

Fogne e pasticcini (per giornalisti) e della volontà di carriera



A marzo scorso la pensavo così (vedi giù), oggi che mi godo questo vento a 40 nodi su un mare in burrasca da dietro la finestra e quasi quasi vorrei essere sopra Zinzura a provare l'emozione di uno sbandamento pericoloso, non lo so più. Oggi vedo sul giornale un mio pezzo non firmato. Cose d'altri tempi, quando mi arrabbattavo ogni volta che c'erano imprecisioni in pagina come questa. Non è che sia grave e devo dire che la cosa in fondo non mi ha infastidito troppo: il pezzo è piccoletto e nemmeno un granchè, magari mi hanno fatto pure un favore. Ma più precisamente credo si sia trattato di una distrazione, un fatto dovuto al troppo lavoro da redattori, alle mille telefonate e ai mille cambi di programma ogni dieci minuti. Conosco la vicenda, l'ho vissuta personalmente per mesi quando vivevo in redazione a Cagliari. In realtà non invidio chi ci si trova in mezzo. qualcosa manca, certo, ma non sono certa sia una redazione. forse di più una barca. Dare e costruire notizie è davvero un bel mestiere, ma ci vuole un tempo per tutto. Un mio amico giornalista ha pensato qualche volta di mollare, ha pensato "cazzo la vita è fuori"; certo poi lo stipendio mensile fa ricredere tutti e direi, a ragione. Una mia amica collaboratrice s'è stancata è ha mollato del tutto, dopo due anni di scuola per giornalisti a settemila euro e due anni di collaborazione intensissima col giornale, e non prima di aver scritto al presidente nazionale della stampa una lunga lettera da collaboratrice "fregata".
In fondo non credo di aver costruito la mia incertezza professionale per niente. L'incertezza può portare a nuove strategie. Grande Robe. dice che non ha rimpianti.
Pubblico qua i miei pensieri di allora che inviai a un amico, perchè le cose di oggi mi ricordano quelle di ieri ma la visione è un'altra. In fondo... meglio free che off. Rispetto ad allora posso solo dire che una telefonata in più evidentemente mi pesava troppo, perchè cominciano ad essere tante se le guardi in bolletta e in pazienza dalla prima all'ultima, partendo dal 2004.

marzo 2008
quando sarà, un giorno o l'altro, la risposta arriverà chiara e tagliente. appositamente affilata nel tempo per essere ancora più maledetta e dolorosa. mi dirò da sola di aver provocato volontariamente la mia incertezza nella costruzione di un'identità professionale. mi dirò di non averci creduto abbastanza. mi dirò che avrei dovuto insistere quel giorno. che cinque telefonate consecutive in una mattinata in cerca di un neo direttore al quale ogni volta devi ricordare chi sei e la sensazione crescente di disagio persino con la centralinista neofita che niente sa di te e che come si permette lei a non sapere il tuo nome, un nome lungo ma che in 4 anni tutti avevano imparato benissimo. Beh quelle cinque telefonate non bastavano. cinque telefonate sono poche se confrontate con la volontà di carriera. cinque misere telefonate... che costava farne una in più? cosa costava fare un viaggio in più dopo avere atteso un anno, quattro anni? dopo aver percorso duemilacento chilometri su e giù per l'isola. dopo aver sperato e corso. aspettato e creduto.
sarò io la prima a dirmi di non averci creduto. sarò la prima a ricordarmi di aver temuto, in un istante in cui il destino sembrava quasi segnato, di perdere la mia libertà e la spontaneità in cambio di uno stipendio mensile fisso e di orari assassini. e sopratutto sarò io la prima a ricordarmi che in fondo, di fare la giornalista non dovevo essere così certa. specie perchè cercando nel dna questa propensione non sono certa di averla mai trovata.
eppure una insistente sensazione di ingiustizia mi ha colto per mesi con impertinenza. mi ha svegliato nei sogni, ritardato la catarsi, agitato gli umori, incrementato l'incertezza. I soliti 4 anni che si fa in fretta a dire 4: che però sono 4 anni di notizie, di telefonate, di contatti, di interviste, di responsabilità e ansie non indifferenti per un temperamento debole e robusto come il mio. Accidenti quanto tempo. Accidenti quante cose fatte. E perché mai, a ripensarci, non sono bastati questi 4 anni a dimostrare che a crederci nel progetto io c'ero tutta? Forse che altri, oggi ben pagati e con una solida (sigh!) identità di giornalista, almeno per quella che un rigido e timbrato tesserino professionale riconosce loro, hanno dimostrato con maggior forza e intensità di quanto abbia fatto io, di crederci?
O cos'è piuttosto questa? la sfiga del collaboratore? di quello che non era nel posto giusto al momento giusto e che sopratutto non aveva il lasciapassare giusto col direttore o l'editore del momento, per evitare di doverci credere così tanto in seguito?... Allora registro che c'è qualcuno che finisce dentro il progetto di altri senza dover necessariamente dimostrare di crederci con tutte le forze, e qualcunaltro che invece per entrare nel progetto deve sbucciarsi le ginocchia, perdere i capelli, giurare fedeltà, anche se questo può costare mancati stipendi per 4 anni e sudore, ansia, tanta ansia. Ecco. A me veniva richiesto di crederci. Ad altri no, ma questo non conta più. C'è chi ha avuto la vita facile, ma non a tutti è concesso lo stesso destino. Salvo chiedersi a un certo punto "perché mai il mio è sempre quello più sfigato?".
E in fondo devo dire che preferisco sentirmi colpevole, almeno so di avere qualcosa da migliorare, piuttosto che vittima. Che ci faccio con la consapevolezza di essere stata fregata? Non avrò mai modo di vendicarmi, né alla fine ciò mi porterebbe a vera soddisfazione. Inoltre rimandando tutto alla solita storia degli incozzati, già si diventa obsoleti. Non fai notizia. Sei uguale al poveraccio che vive in una casa in cui lo Iacp o chi per lui ha dimenticato di aggiustare le fogne. Vivi fra gli insetti e il fatto di doverli cacciare in continuazione, anche d'inverno, quando altri d'inverno pensano a sorseggiare un buon te con pasticcini, seduti a piedi scalzi sopra una sedia girevole di una redazione che a tutto pensa, tranne alla notizia. Il fatto che tu non abbia tempo da dedicare a questa pratica è solo un problema tuo. Non basta più la scusa delle fogne e dello Iacp per non aver trovato lo spazio di un buon te con pasticcini. Non basta essere collaboratore per spiegare al mondo il motivo per cui non fai il giornalista professionista. La solita scusa, diranno coloro annoiati dalle lamentele.
Le lamentele annoiano. Non ce n'è un tipo, per legittimo che possa essere, da cui non si tragga un'infinita noia all'ascolto. Delle lamentele si soddisfano soltanto i giornalisti quando sanno che serviranno per condire un pezzo da presentare sul giornale. Punto.
Così si muore dello stesso male che ha afflitto i tuoi interlocutori ogni volta che hai scritto di qualcuno lasciato senza stipendio, senz'acqua, senza fogne funzionanti. I primi a non scrivere delle proprie fogne sono i giornalisti: le loro vicissitudini annoierebbero: saperlo aiuta anche se frustra.
Dunque niente lamentele. Sarò io la colpevole. Non ho dimostrato di crederci. Il fastidio nei confronti di chi non ha dovuto dimostrare proprio un bel niente mi ha girato le palle a elica, ma è inutile considerazione delle cose che sono. Che sono e basta.

1 commento:

  1. Già lessi..già mi soffermai...
    L'arzigogolo verbale mi garba e di molto anche...se poi finalizzato al far intendere chi vuole ma fa orecchie da mercante...allora proprio mi ci infilo dentro come fosse un bel pigiamino scozzese, di quelli da battaglia mì, da inforcare davanti a uelle quattro capriole del foco bono che a guardarle spesso mi ci perdo dentro pure a quelle...
    Meno di te, come presenza presente là dentro, come te immerso nel progetto, meno di te convinto dal poter pretendere, come te (forse) deluso da un piacere a lungo condiviso e cercato ma mai realmente afferrato...
    Quel giorno, dopo quasi due anni, parole come ricatto, presunzione, aprofittatore...mi hanno quasi ucciso..e lì giù con la mia classica valangata di parole regalate agli amici ed ai "nemici"...poi silenzio e smarrimento, perchè forse forse quella è la mia strada...poi ritorno assieme ad un amico da grabiglia...nel frattempo la mutazione: divento una piovra che cerca di catalizzare l'attenzione di chi cerca la manovalanza della penna...pixel e frequenze, pieghevoli e caratteri di stampa...non al migliore offerente ma a tutti, stavolta senza più aspettarmi niente da nessuno ma cercando di mettere assieme quei quattro zecchini che fecero abboccare all'amo Pinocchio...
    Mi sento appena peripatetico, tendenzialmente me ne infischio mentre scorgo la passione che fa capolino sempre meno fra i tasti della mia tastiera...poi, ogni tanto, salto in aria e mi emoziono guidato dalla colata lavica delle mie cazzate, ci prendo gusto, ma magari regalo il mio costrutto da nulla cosmico al blog d'una bomber da l'occhi di bragia...
    Giungerà il tempo? Arriverà il nostro turno? Mah...pel momento io mi sfrango ogni giorno, comincio ad odiare addirittura..poi mi placo e mi rassegno, vivendo ogni giorno quel che resta dello stesso...
    Corvo Joe

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