sabato 31 gennaio 2009

bettole

In fondo al rettangolo di mattonelle appiccicose di liquori l'orchestrina suona del nostro maggio. Il trombettista ha le gambe stese e la schiena appoggiata alla parete, il fremito degli alluci si allunga alla pancia. Il violino indossa jeans con la piega sotto, la chitarra fa il suo giro e il tamburello sbatte sul monte di giove accompagnando la bocca spalancata del suonatore di corde vocali. Suonatori di ugole siamo tutti, con le birre fra le dita delle mani destre ondeggiando perché ogni cosa va. "Vorrei un'altra birra" fa la ragazza col vestitino e sotto i pantaloni. "Ho finito la birra" fa la ragazza con le tette piccole dietro il bancone. E' un'ottima occasione per non berne più stasera. Che gioia. Sentirsi guardare ogni cosa e trovarsi nel mezzo.

mercoledì 28 gennaio 2009

La parabola del fotografo

Un amico fotografo, professionista per davvero, ha accettato di scrivere qualcosa sulla condizione della categoria che rappresenta. Passo palla (tanto poi rimbalza e mi colpisce in testa). E se poi volete farvi male qui c'è pure la parabola del giornalista.


"Alla fine hai ceduto. Le notizie che avevi, e che solo tu potevi dare, sono apparse sulle pagine di oggi.
E quello è frutto di quel disegno dall'alto, di lungo periodo, che attua il nostro editore, ma anche gli altri.
Giocano sulla vanità dei giornalisti e dei fotografi. Che protestano fino a quando non hanno un pezzo
o una foto che gli fa fare bella figura (una notizia importante che leggono tutti) così "inconsapevolmente"
tolgono le castagne dal fuoco all'editore proprio quando lui potrebbe accorgersi che l'assenza-presenza dei collaboratori conta
qualcosa. E conta anche sul fatto che sono disuniti.
Ci facciamo in quattro per le battaglie degli altri (petrolchimico)
e le nostre invece sono impossibili, tanto da innescare una guerra tra poveri che decreterà la fine di due professioni:
quelle del giornalista e del fotogiornalista.
Sono entrato nel mio archivio e ho digitato la parola protesta:
SAR, Krenesiel, infermieri, muratori, chimici, sardabauxiti, vigili del fuoco, 118, ricercatori universitari, zooprofilattico, ecc
Noi siamo sempre stati al loro fianco, ci siamo indignati per tre mesi di ritardo nel pagamento dei loro stipendi.
E il nostro intervento come giornalisti
è stato determinante per la risoluzione delle loro vertenze. Ebbene noi non abbiamo imparato niente da loro.
Perchè noi stiamo zitti innanzitutto,
abbiamo un sacco di amici giornalisti e non li chiamiamo per fare un pezzo sul precariato-schiavismo dei collaboratori dei giornali.
E non abbiamo capito che uniti si vince, nonostante ci siano tanti esempi a favore.
Sono riusciti a metterci l'uno contro l'altro, facendo leva sulla nostra povertà e sulla nostra vanità. Otterranno solo una qualità dell'informazione
sempre peggiore e fotogiornalisti che faranno matrimoni sì, ma stile reportage, quelli che vorrebbero fare ma nessuno glieli paga. Che tristezza!
La mia battaglia personale-sindacale-legale contro il giornale sta per finire, forse. E' stata durissima, sotto molti aspetti, che elenco:

ho dovuto lasciare un lavoro che adoro (quella vanità di cui sopra, che ti porta a inviare foto al giornale nonstante non ti paghino da più di un anno)
ho dovuto rinunciare ai guadagni che avrei incassato adesso, in ritardo ma sicuri, dell'ultimo anno, per protesta (no money, no photos!)
Ho dovuto dare retta a un sindacato che mi-ci ha usato solo come merce di scambio per raggiungere i loro obbiettivi (questa è pesante lo so!)
Ho dovuto subire ricatti e minacce. E qui ringrazio i colleghi che hanno ascoltato le mie ragioni e, nei limiti possibili, hanno appoggiato la mia protesta.
Mi sono dovuto inventare lavori per pagare le tasse di guadagni mai percepiti ed evitare la visita di un curatore fallimentare.
Ho dovuto pagare, in anticipo, un avvocato.
Ho decretato la fine della collaborazione con il giornale.

Io non lavorerò più con il giornale, questo è chiaro. Ma il problema per i collaboratori che continuano resta e dovranno fare i conti con una certezza:
venire pagati sempre meno e di essere sempre meno riconosciuti come professionisti.

ciao"

venerdì 23 gennaio 2009

Dall'altra parte



Venti minuti dopo il sole, risveglio all'Asinara. Carico antropico ignoto al momento. Divise, gipponi, squadra di pastori, capre che corrono, Tempesta ai cavalli: tutto già in azione, ma c'è solo alba dalla finestra dell'ostello. Per una volta mi affaccio e casa mia sta dall'altra parte del mare.

mercoledì 21 gennaio 2009

Colombario postmoderno


Archeologia turritana. Colombario di Tanca Borgona, II-IV sec. dc.
Luogo sacro, sepolture antiche, cerchio con colonna al centro, stanze per il viaggio lontano, prossimo al mare.
Ottimo stato di conservazione..
Il vento l'ha di certo abbellito e adattato alla postmodernità.

lunedì 12 gennaio 2009

Alla tomba dei giganti. Li Mizzani



Ho dormito su un cuscino di pietra e non dirò niente del mio sonno. Ma ci stavo bene. Attorno le voci si muovono, Michele scatta foto, un uomo seduto sull'esedra a pochi palmi dal mio viso parla con un altro uomo e con una donna appena arrivati. Dicono di un tale, un amico che se n'è andato. Il corpo lo avevo sulla terra, i piedi scalzi. Freddo solo a momenti.
A Li Mizzani sembra ci vadano in tanti, ieri c'era silenzio però. Vanno a curiosare intorno a questa stele di granito che ha più di tremila anni e che un tempo, dicono, fu frequentata da sciamani. I giganti sono gli eroi, i paladini, i capi carismatici che nelle tombe guarivano il popolo dai mali. Qualcuno viene ancora qui, dalle parti di Palau, per terapia.
Passa mezz'ora e apro gli occhi. Chiedo all'uomo seduto ancora sull'esedra di chi siano quei testi stampati su un foglio appeso al ginepro difronte. Mi dice "di Aresu". "Ah si" faccio io, che il nome l'avevo sentito da qualche parte. Mi guardo intorno, vedo per la prima volta a chi corrispondono le voci sentite nel sonno. La donna è bionda e saluta con lo sguardo, accanto c'è un uomo alto. "Piacere, Mauro Aresu". Sorpresa. Giusto lui, l'autore dei testi sugli effetti terapeutici prodotti da questa tomba di giganti, in piedi affianco a me. Ora può raccontarci tutto a voce.
Dice che già Aristotele in Physica, Simplicio e altri autori greci nonimavano queste tombe dei giganti a cui riconoscevano qualità curative (da controllare il Petazzoni in La religione primitiva in Sardegna). Aresu ha misurato la frequenza energetica nel centro della tomba: 437 megahertz, maggiore a tutto ciò che sta intorno, uguale a tutte le tombe di giganti che ha visitato. "Di dove siete?" domanda uno dei tre. A Porto Torres c'è un altro luogo con energia simile e curativa, Su crocefissu mannu. Domus de janas scavate nel calcare, un sito di sconcertante fascino, ma non sapevo che passarci una mezzoretta al giorno, per almeno nove giorni consecutivi fosse utile a togliersi malanni e sconcerie energetiche di dosso. Loro ne sono certi.
Aresu, la donna che si chiama Arianna e Riccardo Altana, l'uomo seduto sulla lastra di pietra, hanno dato vita a un'associazione che studia e frequenta questi luoghi. "Al centro esatto della tomba - dice Aresu - non c'è conducibilità elettrica. Il punto ideale dove scaricare l'energia. Funziona come una massa". Arianna parla anche lei: "La tomba ha un preciso allineamento astronomico: quando sorge il sole d'equinozio la luce entra esattamente dalla porta della stele". Gli antichi costruivano secondo natura. Il sole e la luna erano tenuti bene in considerazione. Stanotte è luna piena. Sarà rilevante per noi?
Aresu, che s'era allontanato per qualche secondo, riappare dal boschetto nel semicerchio di pietre. Ha un bastoncino in mano. Cerca l'energia, dice. Lo fa con metodo rabdomantico. Qualcuno del mio gruppo ha idea che funzioni. "Lo fa anche mio zio" dice Antonio.
Non so se è rilevante, ma trovarsi a Li Mizzani a chiacchierare di cose antiche è una sequenza piacevole. Il mio riposo sopra le pietre non so se ripulisce. Non ne faccio una questione di fede. So solo che le pietre hanno conservato il tempo, non solo il contrario. E diventano un tramite, sottile e granitico, sul quale pensare ai popoli qui residenti quando il mondo era altro. Questa porta di pietra si affaccia su epoche che non so e parla di uomini e donne che non esistono più da millenni e che pure hanno condotto le proprie vite nutrendole di astratti e pragmatismi irripetibili. Su queste pietre non posso perdere l'occasione di riposare almeno per un po'.

domenica 11 gennaio 2009

Log di sale

Ecco l'equipaggio di ieri: Antonio e Res la vela non l'avevano mai provata. Gigi è già patentato da tempo e la piccola grande donna è pure lei un comandante anche se da molte lune si dedica con professionalità a cose boscaiole e gobbe d'Asinara. A bordo del mio guscio preferito che non è affatto mio ma mi ci sono affezionata come si ama un'amica, ce ne stavamo a provare virate e strambate finché il vento non s'è confuso e ha smesso di soffiare da una direzione precisa. Nello spazio marino è un elemento invisibile il propulsore che sposta il guscio mentre fa perno sulle tele prodiere e di poppa. Se giri in tondo, la prua del guscio è una lancetta d'orologio e l'acqua intorno il terreno sul quale comporre un'evoluzione. Il log è il pezzetto di legno che dice quanto vai lontano nell'unità di tempo. E' quindi il registro del tuo andare. Una volta con un altro equipaggio passammo quattro ore a cantare la canzone dei pirati che il mangiadischi di quando ero bambinetta mi aveva insegnato. "Andar, andar, non ha confini il mar. Andar, andar, non ha confini il mar". Io tutti questi pezzetti di legno li tengo conservati nei gavoni dei ricordi e non si bruciano perché li protegge il sale.

venerdì 9 gennaio 2009

Piume d'oca

La notte lunga ci addormenta nel letto con tenerezza. Le chiacchiere volano fuori da una finestra socchiusa, corrono per la strada, vanno a giocare nei cortili degli altri. I bicchieri hanno brindato bene e nessuno si è rotto, le uniche tende sono fatte di salsedine, gli aliti di tutti sono parole cantate, sulle corde il sale è scivolato musicando. Occorrono i suonatori come Jones attorno a noi, occorrono le donne e tutti gli amici. Il lavoro può farci sentire indistruttibili ma se cantiamo è rassicurante anche l'impalpabilità. Oggi so che sono di musica e di persone le mie piume.

mercoledì 7 gennaio 2009

Sfasciacarrozze di inizio anno

Poste. Puzza di ascelle e fila lunga. Mi tocca seguirla e chiedere "chi è l'ultimo?" anche se quando sarà arrivato il mio turno non troverò un dottore. Più probabilmente sarà una multa. Una di quelle vecchie, cagliaritane magari, di quando avevo ancora il pandino arrugginito, che ormai lo tagliarono a pezzetti da uno sfasciacarrozze di Quartucciu. Avevo portato la nikonD50 con me quel giorno con il preciso obiettivo (eh) di fotografare la mia vettura per l'ultima volta prima della disintegrazione. Me ne andai da quel campo di sfaceli ferrosi camminando a piedi lungo una strada vicinale di quelle che costeggiano campi coltivati a silenzio. Foto non ne avevo fatte. Non ho un'immagine finale del pandino bucato. Ho lasciato che il tritatutto se lo portasse e che a me non restassero altro che i piedi. E un ricordo. Forse mi sembrava più prezioso così. Lo sfascia carrozze è un posto speciale da fotografare e se mi fossi trovata là in mezzo da sola forse sarei rimasta ore, ma quegli uomini barbuti in tuta blu mi parevano troppo attenti alle mie mosse e nel frattempo avevo constatato che fare o non fare quella foto finale al pandino non avrebbe cambiato nulla nella mia vita, né alla sua che stava per terminare. Ne ero piuttosto certa. Forse che l'idea di un cimelio diventava già troppo banale nel momento concreto in cui avrei dovuto produrlo. E mi capita spesso di rinunciare a scattare una foto proprio nell'istante dopo il quale l'oggetto non sarà più recuperabile. Un rifiuto. Una specie di capovolgimento strutturale del principio di Cartier Bresson sull'attimo decisivo. Una filosofia senza senso la mia. Epperò al rifiuto non posso contrapporci a forza l'ottimismo. In più c'è il pericolo che quel momento troppo speciale si spaventi davanti alla macchina fotografica e si scorpori in tempi ed esposizioni raffreddandosi come una fainè alle cipolle. No, preferisco di gran lunga le foto nel mentre. E infatti mentre me ne tornavo verso Cagliari, in cerca di un mezzo qualunque (ormai nessuno avrebbe più retto il confronto col pandino) scattavo foto a destra e a manca della mia strada lunga, coi cani ai cancelli, il contadino sugli spinaci, il traffico in lontananza sulla tangenziale. Del pandino ho solo una foto, scattata qualche anno prima quando si era fermata 500 metri dopo il distributore. Ho voluto ritrarmi a bordo mentre mi rendevo conto di aver messo gasolio al posto di benzina. In effetti il pandino era il soggetto principale, ma nell'immagine si vede poco, era l'ambiente, lo spazio della mia rassegnazione. Chissà magari quelle foto dallo sfasciacarrozze avrebbero potuto dimostrare che la macchina è rottamata quindi se il comune di Cagliari reclama ora una multa non pagata io potrei sempre tirare fuori questa carta. In ogni caso non lo scoprirò oggi perché per quanto mi stessi abituando al puzzo di sudore e fare la fila nemmeno mi dispiaceva più, ho saputo da un operatore un po' stronzo che l'avviso di raccomandata non potevo ancora ritirarlo. Ho dovuto lasciare le poste con mio sommo dispiacere. Stavo ambientandomi e in mezzo a tanta gente mi sembrava di avere moltissimo tempo a disposizione per farneticare cose incredibili sul taccuino. Anche perché un mio amico mi aveva appena detto che il dopo Natale, ovvero il dopo nulla, è fatto di incontri con persone stranite. Forse voleva dire rincoglionite. Ma come parla lui mi piace. Ha anche detto che ogni tanto qualcuno ha bisogno di squadernare. E siccome io pur non avendola mai sentita, ho trovato questa parola subito molto significativa, ho deciso che alle poste era pieno di gente stranita e che io mi ci trovavo benissimo e volevo riportare il tutto sul mio quadernetto e così squadernarlo. Perché è di questo che c'è bisogno adesso. Il momento di fare una foto arriverà dopo lo sfasciacarrozze.

giovedì 1 gennaio 2009

Calma ciaggadda


Ho cominciato il mondo alle 12.39 con un pescatore che se ne stava sull'ultimo scoglio già attrezzato di canne da pesca e olotturie per esca. Quando sono scesa e calpestavo il muschietto sopra le rocce lui s'era spostato a raccogliere granchi. Aveva già preso un'orata da un chiletto.
Ciaggaddu. Quando è fermo così il mare è ciaggaddu. Cosa vuol dire? "Chè è troppo piatto. Che ci sono le secche. Adesso cominciano. Buone per pescare le secche di gennaio". Ma con secche o senza l'uomo dei granchi è sempre qui sotto. C'è pure la garzetta. Bianca bianca. Sola sola. Sempre. Pesca pure lei dallo scoglio. Poi spicca il volo basso sull'acqua. Trova un altro scoglio. E' impegnatissima e muta. Primo gennaio ciaggaddu per tutti.
Alle sei e mezza l'uomo dei granchi ha smontato dal turno di lavoro, pontile dell'Eon. Carboniera proveniente dalla "Columbia" dice. Il 9 ne arriva un'altra. Capodanno in stabilimento. "Capodanno, oggi, domani. Quando arriva arriva. Vai. Scarichi". Poi la nave riparte. Alle otto e mezza lo scaricatore ha messo gli stivali gialli, ha preso il secchio, le canne. E io l'ho trovato già sullo scoglio. Ha dormito due ore. L'orata la regala a suo fratello. A lui non piace mangiare pesce.
Porto. Un'ora dopo. La piccola pesca dorme. Lo strascico non strascica. Le reti, le cime, i cavi d'acciaio. Fermo ciaggaddu. Foto. Oggi non ci sono giornali. Mentre torno, un motore al pontile della darsena interna è acceso. Un uomo pronto a partire verso l'acqua. Calma ciaggadda? "Quando è tutto fermo. Il latte quando riposa nella tazza è ciaggaddu. Il sugo? Si si, anche il sugo. Ciaggadda è una cosa gelatinosa". Forse intende senza grinze. Un mare gelatinoso. Bello. Mai sentito. "Beh, buona pesca allora!". Dentro il suo gozzo c'è Mario. Lo conosco. Lui non si ricorda. L'avevo intervistato due anni fa. E' arrivato a Porto Torres nel '48. Ciaggaddu lo dice con l'accento di Ponza. "Ciagàda. Quando non c'è vento. Qualche volta te lo chiedono: com'è il mare oggi? Calma ciagàda. Nemmeno una bava di vento. Quand'è calmo da tutte le parti". Pulisce il gozzetto. Uscirà stasera verso le settemezza. A vedere se trova qualche calamaro. Io vado. "Allora ci rivediamo fra altri due anni?". No, no, Mario ci vediamo prima senz'altro. Buonapesca. E buon anno. Ciagàdu, come dici tu.